LAB 53: Due donne, grassa e magra di Mary Gaitskill
Le convergenze parallele di Dorothy Never e Justine Shade.
[Justine] si sentiva inevitabilmente attratta dallo spettacolo di individui in carne e ossa che vivono in simbiosi con le ombre inventate da un romanziere mediocre.
New York, 1990 o forse poco prima. La città non è più nelle condizioni precarie degli anni settanta, anche se i problemi rimangono. Dopo aver ridefinito i confini dell’arte a un ventennio di distanza l’uno dall’altro, Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat sono morti da poco (conseguenze di un’operazione chirurgica, overdose); Ingrid Sischy ha appena lasciato Artforum per dirigere Interview; manca ancora qualche anno prima che la giornalista freelance Candace Bushnell inauguri la rubrica Sex and the City, poi alla base del libro che ispirerà una serie televisiva di culto; Carolyn Bessette si è appena trasferita da Boston per lavorare presso la sede di Calvin Klein.
Qui vive anche la scrittrice Mary Gaitskill, nata nel 1954 in Kentucky. Dopo un’adolescenza complicata e nomadica, ha esordito nel 1988 con la raccolta di racconti Cattiva condotta (Mondadori, traduzione di Annarosa Miele), che riscuote un grande successo. Tradotto subito in italiano, nel nostro paese il libro raggiunge l’ottavo posto nelle classifiche di vendita1.
È sempre New York lo sfondo su cui si muovono le giovani Dorothy Never e Justine Shade, protagoniste di Due donne, grassa e magra (Mondadori, traduzione di Paola Ternavasio2). Questo primo romanzo di Mary Gaitskill presenta già la caratteristica principale che condivide con i successivi Veronica (Nutrimenti, traduzione di Dora Di Marco) e Velvet (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli): è incentrato sul rapporto tra due polarità femminili3.
Dorothy e Justine entrano in contatto attraverso un volantino: un’anonima scrittrice lascia il proprio numero di telefono e afferma di voler parlare con i seguaci di Anna Granite, autrice di alcuni best-seller e fondatrice del Definitismo, modellata sulla figura di Ayn Rand. Dorothy, lettrice e in seguito segretaria di Granite, decide di telefonare, sebbene ormai da anni non abbia una reale conversazione con un’altra persona.
Due donne, grassa e magra ha una struttura geometrica: i capitoli narrati da Dorothy si alternano a quelli in cui una terza persona singolare segue Justine. Le uniche variazioni, che avvengono alla fine del romanzo, sottolineano la collisione tra le due protagoniste. Esaminiamole più da vicino.
Dorothy Never, che ha trentaquattro anni e fa la correttrice di bozze in uno studio legale, è la donna grassa del titolo; verso la conclusione, Justine nota i suoi pantaloni sportivi verdi, i voluminosi capelli rossi e la bigiotteria da drag queen ironica: dettagli sorprendenti, considerata l’impressione di sobrietà e rigore trasmessa dai capitoli di Dorothy. Condivide il nome con la protagonista de Il mago di Oz; il cognome, scelto da lei stessa, rimanda all’Isola che non c’è di Peter Pan4.
La ventottenne Justine Shade, giornalista freelance che si mantiene lavorando come segretaria presso uno studio medico, invece, è magra. Dorothy ne osserva gli abiti da studentessa, le mani affusolate, la pelle bianchissima — “una donna carina, una volta che ci si abituava a lei” (Dorothy non nasconde una certa delusione: “mi ero immaginata una bella donna matura, con un abito grigio di sartoria, tacchi a spillo e miniregistratore”5). L’idea di scrivere di Anna Granite è un po’ balzana, perché Justine non ha alcun legame particolare con i suoi libri, ai quali inizia a interessarsi solo dopo una breve conversazione con un paziente. Anche il suo nome ci parla: la virtuosa Justine del Marchese de Sade incontra Fuoco pallido di Vladimir Nabokov.
Proprio Fuoco pallido è una delle ispirazioni del romanzo di Mary Gaitskill, che in origine avrebbe dovuto essere molto più vicino al capolavoro nabokoviano, composto da un poema di John Shade e dalla relativa analisi dello studioso Charles Kinbote. Due donne, grassa e magra avrebbe dovuto includere estratti più sostanziosi dall’opera di Anna Granite, della quale invece possiamo leggere solo tre brevi esempi. Non è un caso che nella voce narrante di Dorothy si avverta tutta l’espressionistica influenza granitiana, tra descrizioni enfatiche e una certa ingenuità di fondo, mentre i capitoli incentrati su Justine sono più vicini allo stile vigilato di Mary Gaitskill.
Dopo il primo incontro tra le due protagoniste, Due donne, grassa e magra torna indietro nel tempo per tutta la seconda parte per presentarne la formazione. Entrambe figlie uniche di famiglie borghesi che si trasferiscono spesso per ragioni legate al lavoro paterno (il signor Shade è un cardiologo, mentre il padre di Dorothy sembra un colletto bianco non meglio identificato), crescono in un Midwest piatto e senza stimoli; a scuola, Dorothy rimane sempre un’emarginata, mentre Justine intuisce come mimetizzarsi e integrarsi, fino a raggiungere una certa popolarità. Le due donne hanno in comune anche una specifica esperienza, che entrambe menzionano subito: sono sopravvissute a una violenza sessuale.
«Cominciamo?»
«Va bene.» Sorrise mentre l’affermazione le usciva di bocca come una graziosa bolla galleggiante nella stanza per poi scomparire. «Quando è venuta a contatto con il Definitismo?»
«Da giovanissima, leggendo I Bulwark. Direi che all’incirca dalla pagina dieci in poi, è stata la cosa che ha più influenzato la mia vita e certo in modo positivo. […] Lasci che le spieghi cosa ho appena detto. [...] Sono stata costretta ad andare a letto con mio padre dall’età di quattordici anni.»
Il suo viso inespressivo non tradiva emozione alcuna, ma sentii che regolava affannosamente il telescopio della sua attenzione per esaminare le mie parole.
«L’ho turbata raccontandole questo?»
«No, no, anzi sì. Voglio dire, mi spiace che sia capitato a lei, ma non mi turba. So che è molto comune. In realtà anch’io da bambina ho subito delle molestie sessuali.» Lieve pausa, e un impercettibile ritrarsi del corpo. «Quando avevo cinque anni, da un amico di mio padre.»
«Dio mio.»
«Però non si è ripetuto spesso. Forse tre o quattro volte.» Il suo volto si manteneva in apparenza sereno. «So che non è così terribile come con il padre perché...»
«La smetta. Non neghi la sua esperienza. Non è proprio il genere di cosa che si possa quantificare. Qualunque analista glielo potrebbe dire.» Sentii il mio viso rilassarsi in un modo che speravo gradevole.
In LAB 52 scrivevo, con favore, che La famiglia Berg non andava a rimestare nel trauma plot. Mary Gaitskill, nel 1991 al secondo libro e al primo romanzo, con Due donne, grassa e magra affronta argomenti come la pedofilia e l’incesto con una lucidità oggi ancora inconsueta, senza accontentarsi di tracciare una linea retta da A a B. Le molestie subite slatentizzano troppo precocemente in Justine una propensione per il masochismo sessuale, che lei inizia poi a esplorare da bambina e da ragazzina in modi talvolta sbilanciati (per esempio, l’episodio con Rose Loris); i ripetuti stupri congelano la sessualità di Dorothy, anche se avrà una breve relazione di cui Gaitskill riesce a far filtrare la meschinità senza mai abbandonare la prospettiva del personaggio. La lunga sezione dedicata alla crescita delle due protagoniste è un antidoto alla superficialità con cui troppi romanzi contemporanei trattano di sessualità ed erotismo. Gaitskill rifiuta l’ipersemplificazione: le violenze subite da Dorothy sono anche un’estensione della soffocante atmosfera domestica, che fin da piccola la allontana da una normale vita sociale; quando, nella terza parte del romanzo, Justine conosce Bryan, abituato alle pratiche BDSM in un ruolo dominante, la loro relazione non ha nulla del velleitarismo superficiale che emerge nei romanzi di Sally Rooney, Lillian Fishman o Raven Leilani.
La giocosità dei nomi di luogo6 e di persona7, la concinnità nei background di Dorothy e Justine, l’alternanza di prima e terza persona singolare fanno sì che l’abbandono completo alla storia sia impossibile: la sensibilità di chi legge riconosce l’artificio letterario. Allo stesso tempo, la verosimiglianza emotiva dei personaggi e delle loro azioni è limpidissima e riconoscibile.
Come Lydia Sandgren in vari momenti de La famiglia Berg (i quadri di Gustav Berg, l’opera di William Wallace e il romanzo Un anno d’amore) e Tomoka Shibasaki con l’album di Kaiko Umamura e Tarō Gyushima in Giardino di primavera, anche Mary Gaitskill mette al centro della narrazione il rapporto di un personaggio con l’arte. È a credito di Mary Gaitskill che l’arte in questione si riduca a polpettoni destrorsi: basta guardarsi intorno per vedere i sentimenti intensi suscitati dalla musica di Taylor Swift, dai libri di Colleen Hoover o da Challengers di Luca Guadagnino. Dorothy non è una stupida, ma manca di una certa sofisticazione intellettuale: mentre la biblioteca degli Shade è fornita di Hardy, Dickens, Poe e Čechov, lei ha a disposizione soltanto 1984 e i libri di Anna Granite. Il romanzo tace sul periodo universitario di Justine, che possiamo immaginare convenzionale, non degno di nota; Dorothy, che deve mantenersi da sola, può permettersi soltanto di frequentare un corso biennale in un college poco prestigioso, che interrompe per diventare la segretaria di Anna Granite. La continuata vicinanza toglierà all’idolo la patina d’oro, tuttavia la fondatrice del Definitismo conserverà sempre un ruolo gigantesco nella psiche di Dorothy. L’articolo dissacrante della donna magra, dal titolo Anna Granite, la nonna yuppy, innescherà la rabbia della donna grassa e porterà il romanzo a una fine imprevista.
Consideriamo un termine molto attuale: empatia. Oppure, per rifarsi alla tradizione cattolica: compassione, carità, odia il peccato e non il peccatore. In The Devil’s Treasure (McNally Editions), testo ibrido che combina frammenti dai libri dell’autrice e suoi ricordi personali, Gaitskill descrive la propria reazione alle molestie subite a cinque anni da un amico del padre, analoghe all’esperienza di Justine, notando anche l’espressione dell’uomo:
Remarkably I don’t remember feeling fear. I was simply stunned and then mesmerized by the sensations roused in my body and even more by what I saw happening to his face. It was as if he turned into someone else, something else, a creature consumed by hunger and shame and pain that drove him to do what he did, to act itself out on my body, my mind, everything in me that might feel. And then it was over, and he turned back into himself and everything was normal.
Come scrive Simone Weil in un celebre passo de L’ombra e la grazia (Rusconi, traduzione di Franco Fortini)8, “l’attenzione estrema costituisce nell’uomo la facoltà creatrice”. Fin dagli inizi, la qualità più pura del lavoro di Mary Gaitskill è questa: l’attenzione. Alcuni personaggi vengono raffigurati a figura intera; altri sono ritratti in cammei; a tutti viene riconosciuta una completa umanità.
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Panorami (ovvero: quali altre opere mi ha fatto venire in mente questo libro?)
Niente da dichiarare. Mi sono accorta scrivendo questa lettera delle assonanze tra Due donne, grassa e magra e gli altri due libri di questa stagione di LAB — il punto in comune ovviamente sono io.
Altro?
Due donne, grassa e magra non è in catalogo; si trova facilmente nei circuiti dell’usato, però ne incoraggerei calorosamente la lettura in inglese — l'ha ripubblicato Penguin, nella collana Modern Classics — a causa dei limiti accennati nella nota 2. A differenza dei romanzi, le raccolte di racconti di Mary Gaitskill non sono state tradotte integralmente: per Einaudi infatti è uscito Oggi sono tua (traduzione di Maurizia Balmelli e Susanna Basso), un’antologia dei racconti di Mary Gaitskill, tratti dalle sue tre raccolte Bad Behavior, Because They Wanted To e Don’t Cry. Un racconto consigliato per ciascuna: Legame (ma il mio preferito di Bad Behavior, cioè Something Nice, non è incluso nella selezione), Perché sì e Oggi sono tua.
Pochi giorni fa, Mary Gaitskill ha scritto un pezzo proprio su Fuoco pallido. Mi piacciono certe coincidenze, sembrano segni del fato.
Utili per preparare questa uscita: il capitolo dedicato al romanzo in Cruel Optimism di Lauren Berlant; un’intervista a Gaitskill nel 1994, un’intervista apparsa su Bomb nel 2009, su Interview nel 2017, e ovviamente quella su The Paris Review dell’anno scorso (dietro paywall, ma se ti interessa puoi rispondere a questa email e ti mando un pdf). Ho apprezzato anche questo pezzo di Hannah Gold su Out of It, la newsletter di Mary Gaitskill. Fine secchioneria.
Laboratorio arriverà, come di consueto, il 19 giugno.
A mia sorella! di Catherine Breillat
La traduzione italiana del romanzo fa scelte molto datate, quando non proprio discutibili, e avrebbe bisogno di essere perlomeno rivista. Siccome non leggo mai in traduzione dall’inglese, mi sono accorta del problema solo quando ho comprato l’edizione Mondadori per le citazioni di questa uscita, ergo troppo tardi per scegliere un altro libro. Le citazioni riportate sono rese accettabili dell’originale.
Nei romanzi successivi, Veronica e Velvet, le due figure femminili sono separate da una sensibile differenza d’età e, nel secondo, dalle differenti appartenenze etniche (Ginger è una bianca WASP; Velvet è di origini dominicane); in Due donne, grassa e magra la differenza è principalmente corporea, e in seconda battuta di classe.
Il cognome anagrafico di Dorothy è Footie; in una delle poche recensioni contemporanee alla pubblicazione originale di Due donne, grassa e magra che sono riuscita a rintracciare, Meg Wolitzer stranamente usa per lei il cognome Storm. Mi sarebbe piaciuto leggere la recensione di Greil Marcus, pare molto positiva, ma in questo caso Internet non è stata generosa.
Una corrente carsica che attraversa tutto il romanzo è l’attrazione di Dorothy nei confronti di Justine.
Alcuni luoghi dove vive Justine: Action, Walnut. Dorothy: Painesville.
Anna Granite e il suo luogotenente Beau Bradley mi hanno fatto risuonare in testa i nomi di Katharine Graham e Ben Bradlee (rispettivamente proprietaria e direttore del Washington Post all’epoca del Watergate); il nome del personaggio minore Knight Ludlow riecheggia quello di Knight Landesman, publisher di Artforum, che ha ispirato il personaggio di Quin in This Is Pleasure, racconto di Mary Gaitskill apparso sul New Yorker nel 2019.
A volte i riferimenti banali sono quelli più esatti.