Le citazioni sono in inglese, tuttavia entrambi i libri di questa uscita sono disponibili in italiano: Il collezionista di John Fowles nella traduzione di Vincenzo Abrate per Rizzoli; In un posto solitario nella traduzione di Anna Maria Biavasco per Giano.
Il collezionista: il tuo vizio è una stanza chiusa
Cosa farebbe ognuno di noi se vincesse il montepremi della lotteria?
Frederick Clegg, giovane impiegato comunale, porta a Londra la zia Annie, che l’ha cresciuto, e la cugina disabile Mabel: cenano in ristoranti costosi, alloggiano in alberghi rinomati, si godono la vita. Frederick paga loro anche un lungo viaggio in Australia, dove si è trasferita una parte della famiglia, poi si compra un furgone e si mette alla ricerca di una casa.
Quali requisiti deve avere? Uno solo: dev’essere un’abitazione dove sia possibile tenere prigioniera un’altra persona.
Con i soldi della vincita, infatti, Frederick può concretizzare il suo sogno: conquistare Miranda Grey.
La vedeva spesso in giro per la loro città d’origine prima che lei si trasferisse a Londra per studiare alla prestigiosa Slade School of Fine Art; convinto com’è di non avere alcuna speranza di avvicinarla nei modi consueti, a Frederick non resta che mettere in atto il suo piano di rapirla e sequestrarla. Si tratta di un espediente brusco ma necessario: Miranda così potrà imparare a conoscerlo senza distrazioni, pian piano abituarsi e infine ricambiare l’amore che lui le vota da anni.
When she was home from her boarding-school I used to see her almost every day sometimes, because their house was right opposite the Town Hall Annexe. [...] In the evening I marked it in my observations diary, at first with X, and then when I knew her name with M. [...] She didn’t look once at me, but I watched the back of her head and her hair in a long pigtail. It was very pale, silky, like Burnet cocoons. All in one pigtail coming down almost to her waist, sometimes in front, sometimes at the back. Sometimes she wore it up. Only once, before she came to be my guest here, did I have the privilege to see her with it loose, and it took my breath away it was so beautiful, like a mermaid.
[...] Seeing her always made me feel like I was catching a rarity, going up to it very careful, heart-in-mouth as they say.
Frederick attira la ragazza vicino al furgone con il pretesto di soccorrere un cane ferito, la stordisce con il cloroformio, la imbavaglia, la lega e, una volta giunto nella villetta sperduta che ha acquistato, la chiude nella cantina che ha ristrutturato per lei.
Miranda riprende conoscenza in un luogo di prigionia bizzarro: ci sono abiti all’incirca della sua taglia, libri d’arte, materiale per disegnare e dipingere. Quando Frederick le dice che non è stata rapita per denaro, gli crede; quando le assicura che la motivazione non è nemmeno il sesso e le promette di essere sempre rispettoso, lei si augura che sia sincero.
Uscito nel 1963, Il collezionista di John Fowles (1926-2005) mette in scena le soggettività del sequestratore e della prigioniera attraverso due narrazioni in prima persona singolare. La seconda parte del libro è costituita dal diario di Miranda, redatto durante l’accadere degli eventi; la prima, la terza e la quarta si presentano come una riflessione di Frederick dopo la fine delle vicende.
Odilon Redon.
Fowles abita con sicurezza la prospettiva di entrambi i personaggi.
La voce di Frederick è anonima, sorvegliata, tende a servirsi di luoghi comuni, rimane quasi sempre incapace di un coinvolgimento viscerale. Attraverso il suo grigiore lessicale ed espressivo, l’autore ci fa conoscere la meschinità di una mente gretta, facile al qualunquismo, ossessionata da ciò che è (in superficie) decoroso.
Lo stile di Miranda è sciolto, rapido quanto i suoi pensieri, sempre vivace, a volte pretenzioso come ci si può aspettare da una ventenne che studia belle arti. La disperazione che le ispirano le circostanze si alterna alla sua capacità di reagire e alla determinazione dei suoi variegati tentativi di fuga. Inoltre, se in una situazione del genere in teoria potrebbe trovare una misura di forza nel semplice odio nei confronti del rapitore, lei si trova in una situazione paradossale: è una prigioniera in tutto e per tutto, tuttavia chi l’ha sequestrata si comporta con immensa deferenza nei suoi confronti. Miranda spesso prova soprattutto pietà per Frederick.
Frederick, che apprezza le inclinazioni artistiche di Miranda, non prova un interesse reale per l’arte, non ha un gusto personale che vada al di là della somiglianza fotografica di un dipinto alla realtà, e non è nemmeno stimolato dalle conversazioni che Miranda cerca di avere con lui. Pur avendola rapita per farsi conoscere meglio, Frederick non ha alcun interesse per l’interiorità della persona che considera una semplice ospite: gli basta poterla contemplare.
Anche se Miranda scrive nel suo diario di averlo convinto a leggere Il giovane Holden, gli unici libri che Frederick menziona nella sua parte di narrazione sono delle raccolte di fotografie pornografiche e un volume intitolato Segreti della Gestapo. Non dimostra nemmeno interesse per la musica, uno dei pochi svaghi della ragazza.
Miranda, invece, affastella riflessioni su Piero della Francesca, Emma di Jane Austen e temi politici come la Bomba H; la sua è l’ingenuità di una persona intelligente ma ancora immatura a causa della sua mancanza d’esperienza di vita. La complessa relazione con GP — un pittore di vent’anni più grande che per lei è sia una sorta di mentore, sia un potenziale compagno1 — diventa il rapporto fondamentale a cui si aggrappa mentre il tempo passa e i tentativi di scappare falliscono uno dopo l’altro.
La tessitura del romanzo si basa sull’incrocio del dritto e del rovescio rappresentati dai suoi due protagonisti: un uomo, una donna; piccola borghesia (Frederick è figlio di un rappresentate di chincaglierie e oggetti di cancelleria), media borghesia (Miranda è figlia di un medico); un criminale, una vittima.
Talvolta Fowles non resiste a qualche gioco artificioso. Per esempio, il titolo del romanzo deriva dalla passione di Frederick per le farfalle, che colleziona da anni e che, oltre a Miranda, sono il suo unico interesse. Lei stessa traccia il facile parallelismo tra i lepidotteri infilzati in schemi armoniosi, unico tocco personale di Frederick nella villetta, e la sua condizione di prigionia. Oppure: Frederick dice a Miranda di chiamarsi Ferdinand, convinto che sia un appellativo più distinto e sofisticato; Miranda, che non gli crede, lo soprannomina Caliban nel suo diario. Miranda, Ferdinando e Calibano sono tre dei personaggi principali de La tempesta di William Shakespeare2, sebbene Frederick sembri esserne del tutto ignaro.
Guardando all’interezza del romanzo, però, sono sbavature facili da perdonare.
Le mani legate di Miranda (Samantha Eggar) nel film Il collezionista, diretto da William Wyler.
Nonostante fosse all’inizio della sua carriera — Il collezionista è il primo libro pubblicato3 dall’autore — John Fowles dimostra un’abilità rara nel mantenere piatto e banale il tono di Frederick mentre lascia filtrare dettagli perturbanti.
Come menzionavo, Frederick ha letto Segreti della Gestapo. Non si tratta di un interesse per la storia recente, anzi, da lì trae semmai un’idea: isolare Miranda dal mondo esterno, così come faceva la polizia segreta nazista, in modo che possa pensare di più a lui.
Più tardi, quando, in uno snodo cruciale del romanzo, Miranda tenta di nuovo la fuga, Frederick la seda di nuovo con il cloroformio; in preda all’agitazione dopo gli eventi appena trascorsi, sconvolto dall’averla vista con una spalla scoperta, la spoglia per scattarle delle foto mentre è priva di conoscenza. L’indomani si guarderà bene dal raccontarle l’accaduto, che descriverà così:
I never slept that night, I got in such a state. There were times I thought I would go down and give her the pad again and take other photos, it was as bad as that. I am not really that sort and I was only like it that night because of all that happened and the strain I was under. Also the champagne had a bad effect on me. And everything she said. It was what they call a culmination of circumstances.
Things were never the same again, in spite of all that happened.
Somehow it proved we could never come together, she could never understand me, I suppose she would say I never could have understood her, or would have, anyhow.
About what I did, undressing her, when I thought after, I saw it wasn’t so bad; not many would have kept control of themselves, just taken photos, it was almost a point in my favour.
“Non sono quel tipo di persona, altri avrebbero fatto di peggio, e poi lo champagne…” si dice Frederick, ormai diverse settimane dopo aver rapito una ragazza.
Chi legge ha intuito da tempo che la sua facciata rispettosa, ormai attraversata da crepe sempre più palesi, non è che l’ultimo rimasuglio di ipocrisia in una psiche decisa a ignorare l’autonomia del suo oggetto del desiderio. Queste fotografie scattate a tradimento sono l’ulteriore segnale esplicito di una sessualità dove non c’è spazio per la reciprocità ma solo per la prevaricazione.
Le ispirazioni del romanzo, dichiarate dall’autore, sono tre: una sua ricorrente fantasia erotica giovanile; un reale caso di rapimento; un’opera di Béla Bartók intitolata Il castello di Barbablù.
Il romanzo mi ha fatto pensare a un’altra celebre fiaba, riferimento esplicito anche nelle prime edizioni italiane del libro, cioè La bella e la bestia, mentre Kerry McSweeney avvicina Miranda alla protagonista di uno dei dei testi fondativi della letteratura britannica, Clarissa di Samuel Richardson4.
Frederick non ha però la gentilezza dell’eroe di Madame Leprince de Beaumont, né la colossale malvagità di Mr. Lovelace.
Ne Il collezionista, Fowles è sempre attento a non attribuire a Frederick caratteristiche fuori dall’ordinario, ed evita di compatirlo: non ha nulla di eccezionale, è un ragazzo convinto di essere normale che può mettere in pratica i suoi istinti grazie all’improvvisa disponibilità di una rilevante somma di denaro.
In un posto solitario: una sull’altra
È una rigida sera di settembre a Los Angeles, la nebbia si alza sulla costa, e un ex pilota della U.S. Air Force segue una ragazza vestita di marrone, finché un’automobile di passaggio non lo illumina in pieno viso.
Dix Steele rinuncia all’impresa (quale impresa?) ed entra in un bar, dove gli viene l’idea di telefonare a Brub Nicolai, un ex commilitone con cui aveva legato durante il servizio militare. Brub e sua moglie lo invitano nella loro casa di Mesa Road5, non distante da lì.
Pur appartenendo a una benestante famiglia californiana, Brub ha scelto una delle strade aperte ai reduci dal ritorno alla vita civile, così ora è un detective in forza al Los Angeles Police Department. Insomma, si è subito reinserito nei binari tradizionali dell’età adulta.
Dix, invece, si è ritagliato un anno sabbatico: cerca di scrivere un libro — non delle prevedibili memorie di guerra, bensì un mystery — mentre uno zio ricco lo sostiene con una cifra mensile.
L’ex pilota passa una bella serata dai Nicolai, ma al momento di andare via lascia malvolentieri il proprio numero di telefono.
Sembra deciso a tornare a casa, finché:
At Camden Drive he saw her. A girl, an unknown girl, standing alone, waiting alone there, by the bench which meant a crosstown bus would eventually come along. At night busses didn’t run often. [...] He crossed the boulevard and he was smiling with his lips as he started back. His stride was long; his steps were quiet.
Il giorno dopo i giornali titolano: lo Strangolatore colpisce ancora.
Dorothy B. Hughes (1904-1993) è già una scrittrice affermata quando nel 1947 pubblica In un posto solitario, il suo undicesimo romanzo. Non diversamente da John Fowles con Frederick Clegg, Hughes registra i pensieri di un uomo giovane, con davanti a sé una vita ricca di possibilità.
Prima della Seconda Guerra Mondiale, Dix era iscritto a Princeton; suo zio Fergus, un self-made man che l’aveva accolto dopo la morte dei genitori, desiderava che si laureasse per poi magari succedergli.
Tuttavia Dix detestava frequentare i corsi e invidiava i compagni che potevano disporre come meglio credevano dei soldi di famiglia. Così si era attaccato a Mel Terriss, un perdente dalle tasche sempre piene, offrendosi come facilitatore: Dix sapeva chi pagare come tutor per le ripetizioni; Dix andava a ritirargli gli abiti puliti in lavanderia; Dix era abbastanza affascinante da convincere le ragazze a dare una possibilità anche all’amico. Quell’esistenza da leccapiedi si era interrotta solo grazie all’arruolamento. Evviva, nell’esercito tutti erano uguali agli altri! Solo l’abilità contava! In più, Dix era nella U.S. Air Force, ergo parte di una divisione d’élite. Uguale agli altri, però meglio della massa.
I titoli di testa dell’adattamento infedelissimo diretto da Nicholas Ray.
Purtroppo tutte le cose belle finiscono. Nel 1945 Dix si ritrova al punto di partenza: con uno zio avaro, nessuna voglia di tornare a studiare, ancora meno di lavorare. Quindi eccolo a Los Angeles, dopo essere riuscito a negoziare un anno di pausa.
Una sera, dopo aver trascorso qualche mese nella città dei sogni di celluloide, Dix è in compagnia di una bionda e si imbatte proprio in Mel Terriss, che occhieggia la ragazza e sembra pronto a riprendere i ruoli del periodo universitario. L’abile Dix gestisce la situazione in maniera tale da farsi lasciare da Mel, in repentina partenza per Rio de Janeiro, l’uso del suo appartamento a Beverly Hills, della sua lussuosa coupé nera e di tutti i suoi abiti confezionati in sartoria.
Questo accadeva in piena estate, un paio di mesi prima della serata che apre il romanzo e del nuovo contatto con Brub (e Sylvia) Nicolai.
C’è un altro evento importante che accade nei giorni di settembre, un incontro con una vicina di casa che Dix non aveva mai incontrato prima. Se l’avesse vista se ne sarebbe di certo ricordato: Laurel Gray forse non è una bellezza classica, ma è una bomba.
Un gioco mentale con un detective della polizia, un passatempo fisico con una donna sensuale: cos’altro si può desiderare? Dix Steele è certo di condurre una vita invidiabile.
Dorothy B. Hughes usa una terza persona singolare ancorata alla coscienza del suo protagonista; tutto ciò che leggiamo è filtrato dalla sua personalità, dai suoi desideri, dalle sue paure. Le donne attraenti sono descritte nei particolari (l’eleganza gelida di Sylvia, la carnalità di Laurel, schiene abbronzate, visi graziosi), le donne vecchie o brutte liquidate con termini come slattern6. Rimangono tutte, tutte, tutte donne e quindi ficcanaso, oppure:
They were all alike, cheats, liars, whores. Even the pious ones were only waiting for a chance to cheat and lie and whore. He’d proved it, he’d proved it over and again.
Si può star certi che Dix l’abbia dimostrato più e più volte, perlomeno secondo la sua mentalità: tutte le vittime dello Strangolatore di Los Angeles, tranne una, sono state violentate prima di essere uccise.
Hughes scrive in un’epoca in cui l’esistenza dei serial killer è nota, anche se i loro profili non sono ancora state analizzati in maniera sistematica7. Più che attribuire il comportamento del protagonista a un trauma dovuto alla guerra, In un posto solitario sembra suggerire che, in una personalità già deviata, il gusto di uccidere sia stato slatentizzato dalla necessità di farlo.
Anche il tipo di forza militare a cui apparteneva Dix non è casuale: i piloti, come chi manovra i droni oggi, non avevano un rapporto diretto con le persone che subivano le loro azioni di guerra. Osservando dall’alto un’umanità brulicante, si limitavano a evitare i nemici e a sganciare bombe. È difficile ritornare a considerare gli altri degli esseri umani completi, soprattutto se già in tempo di pace li reputava soltanto mezzi per arrivare a qualcosa. A cosa? A una vita facile.
Pupi’s, un diner di Los Angeles, in una fotografia di Ralph Crane del 1966.
La critica rintraccia nel personaggio principale di In un posto solitario un’anticipazione dell’arrivismo del talentuoso Tom Ripley, il personaggio inventato da Patricia Highsmith per il suo romanzo del 1955, e della follia di Lou Ford, il poliziotto protagonista de L’assassino che è in me di Jim Thompson, uscito nel 1952.
Gli anni Cinquanta sono il decennio dove la tirannia delle convenzioni, o della loro apparenza, si impone sulla società statunitense. Ma i segni di crisi erano già evidenti nella patina di normalità di Dix Steele che marcisce pagina dopo pagina. Mel Terriss è davvero a Rio? I frequenti inviti dei Nicolai sono dovuti a semplice amicizia? Dix è capace, nonostante tutto, di un sentimento sincero per Laurel?
Hughes risolve tutti gli enigmi che costruisce, senza mai far trapelare nella prospettiva del protagonista quale sia il giudizio autoriale. Un successo tecnico che non ha bisogno dell’attualità dei temi del romanzo per impressionare.
LAB è arrivata alla sua ultima uscita prima delle vacanze, anche se ovviamente il 16 luglio arriverà ancora la rubrica Laboratorio — per il momento molto scarna.
Le citazioni sono in inglese perché la traduzione de Il collezionista mi ha fatto venire l’orticaria (per fortuna ho potuto controllarla in biblioteca) e non avevo voglia di comprare una copia in italiano di In un posto solitario (non ho idea di come sia la traduzione, magari è eccellente).
Per Il collezionista, mi sono stati utili il relativo capitolo in The fictions of John Fowles: Power, Creativity, Femininity di Pamela Cooper e The romances of John Fowles di Simon Loveday, più varie interviste online; per In un posto solitario: questo pezzo di Megan Abbott8 per The Paris Review; questo di Sarah Weinman per la Los Angeles Review of Books; questo di Christopher Breu per Modern Fictions Studies.
Oltre ai due adattamenti cinematografici, se poi si può chiamare adattamento quello di In un posto solitario, ho anche riguardato dei pezzi di Los Angeles Plays Itself.
Grazie a Fabio per aver risposto alle mie domande sull’esperienza di pilotare un aereo.
Grazie ad Andrea per la revisione del testo.
Il titolo dell’uscita è ispirato a un romanzo di Nicholas Blake (Cecil Day-Lewis); i sottotitoli a un film di Sergio Martino e a uno di Lucio Fulci.
L’immagine di copertina è una famosa fotografia di Stephen Shore, parte di una mostra intitolata Pleasures and Terrors of Domestic Comfort9.
Infine, una citazione da The Magus di John Fowles:
‘What do you read?’ He wrote down my measurements in a little notebook.
‘Oh... novels mainly. Poetry. And criticism.’
‘I have not a single novel here.’
‘No?’
‘The novel is no longer an art form.’
I grinned.
‘Why do you smile?’
‘It was a sort of joke when I was at Oxford. If you didn’t know what to say at a party, you used to ask a question like that.’
‘Like what?’
‘Do you think the novel is exhausted as an art form? No serious answer was expected.’
‘I see. It was not serious.’
‘Not at all.’ […]
‘Well — I am serious. The novel is dead. As dead as alchemy. [...] Why should I struggle through hundreds of pages of fabrication to reach half a dozen very little truths?’
‘For fun?’
Ci sentiamo tra due settimane.
I tempi non corrispondono, e GP non sembra avere particolare successo, altrimenti la situazione mi ricorderebbe nello specifico il rapporto tra Celia Paul, anche lei studentessa alla Slade, e Lucian Freud. Invece è semplicemente una dinamica comune.
Un riferimento che torna anche in The Magus, in italiano Il mago, il secondo romanzo pubblicato da Fowles ma il primo da lui scritto.
Ma, come dicevo nota 2, il secondo da lui scritto dopo The Magus.
Nel capitolo intitolato John Fowles’ Variations della raccolta Four contemporary novelists.
Sono così precisa perché ho scoperto che è la stessa strada in cui viveva Christopher Isherwood, con il compagno Don Bachardy. Mentre cercavo le immagini per l’uscita ho anche trovato una foto, scattata da Ralph Crane, dove ci sono Isherwood e Aldous Huxley. Ultimamente l’autore di Addio a Berlino salta sempre fuori, e visto che questa è pur sempre una newsletter che parla di libri...
Secondo il Cambridge Dictionary: “a dirty, untidy woman” oppure “a woman who has many sexual partners, for pleasure or payment”.
Il termine “serial killer” verrà coniato solo negli anni Settanta.
Chi è iscritto da più tempo (grazie di esserci ancora!), ricorderà che il suo Queenpin è stato protagonista di un’uscita nell’estate 2020. Was I ever so young? La sua quadrilogia noir — Die a Little, The Song is You (che ho riletto da poco), Queenpin appunto e Bury Me Deep — è calorosamente consigliata; molto meno i suoi noir contemporanei, che mi sembrano in continuo declino qualitativo.
Qui c’è il PDF del catalogo, messo a disposizione dal MoMA.