Bonus LAB: Le vite dei nostri ultimi tycoon
Quali storie ci raccontano Leonardo Del Vecchio (Luxottica), Brunello Cucinelli (Brunello Cucinelli S.p.A.) e Federico Marchetti (YOOX) nelle loro auto/biografie?
L’email di oggi è molto lunga, può essere meglio aprirla nel browser cliccando sul titolo. Buona lettura.
LEONARDO DEL VECCHIO: L’ORFANO, L’OPERAIO, IL FALCO
La seconda metà del film La notte di Michelangelo Antonioni, che segue una coppia formata dallo scrittore Giovanni Pontano e da sua moglie Lidia, si svolge a una festa tenuta nella villa dell’industriale Gherardini. Durante una breve conversazione tra i due uomini, Pontano dice: “Voialtri industriali avete il vantaggio di fare i vostri racconti con le persone vere, le case vere, le città vere — il ritmo della vita, del tempo, è nelle vostre mani.”
La notte è uscito nel 1961, al culmine del boom economico italiano, un periodo di contatti inconsueti tra l’industria e la letteratura: scrittori come Paolo Volponi, Ottiero Ottieri e Leonardo Sinisgalli lavorano tutti, con incarichi diversi, in grandi aziende italiane (Olivetti i primi due, Finmeccanica il terzo). Pirelli pubblica una rivista aziendale dove è possibile trovare le firme di intellettuali del calibro di Gillo Dorfles e Carlo Levi.
Sempre nel 1961, ad Àgordo, tre persone fondano Luxottica, una piccola azienda lontana dai centri culturali ed economici del paese, ma radicata nel distretto dell’occhiale. Il più giovane dei tre si chiama Leonardo Del Vecchio, è un ventiseienne milanese e alla fine degli anni Ottanta risulterà essere il maggiore contribuente italiano; oggi basta il suo nome per il titolo della biografia scritta da Tommaso Ebhardt, edita da Sperling & Kupfer nel 2022.
Dei tre libri che esaminerà L’altra biblioteca in questa uscita, Leonardo Del Vecchio ha il formato più convenzionale, a partire dalla copertina, un ritratto istituzionale in bianco e nero di LDV1. La vita del protagonista si presta a un certo tipo di racconto eroicizzante, ma le difficoltà affrontate da Del Vecchio sono reali.
Ultimogenito postumo di un ortolano pugliese trasferitosi a Milano, il futuro padrone di Luxottica nasce nel 1935 e cresce nelle cosiddette “case minime”, alloggi popolari destinati agli immigrati meridionali. La madre lavora come operaia, i fratelli e le sorelle sono molto più grandi, le risorse familiari limitate, e il bambino Leonardo è irrequieto: l’unica soluzione è il collegio dei Martinitt, dove entra nel 1942. Retto dai padri somaschi, l’orfanotrofio può già vantare alcuni celebri ex alunni poi affermatisi come imprenditori — Edoardo Bianchi, biciclette, e Angelo Rizzoli, libri — e anzitutto assicura un futuro, come accaduto al meno noto Giovanni Bellezza, figlio di un “servente”, che diventa un apprezzato bronzista e cesellatore.
Consultando il sito, possiamo esaminare verso quali lavori venivano indirizzati bambini e ragazzini affidati alla loro custodia: meccanici, fabbri, calzolai, sempre professioni manuali richieste che richiedono precisione ed esperienza.
Nel 1949, quando lascia l’ambiente severo dei Martinitt, anche il quattordicenne LDV ha un mestiere: incisore e stampatore. Inizia a lavorare alla Johnson, una ditta che produce medaglie; presto stanco della rigida gerarchia, passa alla Granero di Pieve Tesino, nella Valsugana, dove a soli diciotto anni è promosso capofabbrica grazie alle sua capacità tecniche. Tre anni dopo si sposa con Luciana Goldoni, la figlia dell’oste del paese. Poi la famiglia Del Vecchio — i due giovani sposi avranno due figli, Claudio e Marisa, a cui si aggiungerà Paola — torna a Milano, dove LDV decide di mettersi in proprio.
Nel 1958, in un “garage”, inizia la sua carriera da terzista; di giorno continua a lavorare da dipendente, perché lo stipendio gli serve per finanziare le cambiali che servono a sostenere il suo progetto. Il passaggio dalla fabbrichetta di Milano, nella quale LDV arriva ad assumere “tre o quattro” dipendenti, a Luxottica avviene tramite un allineamento di fattori economici, scrive Ebhardt:
Nel 1957 il governo estende alle zone depresse del Centronord le agevolazioni fiscali concesse alle regioni meridionali, norme che fungono da detonatore per il boom economico dei terroni del Nord.
Nel 1960 il consorzio BIM, che raggruppa i Comuni montani attorno al fiume Piave, pubblica sul mensile Cadore un invito ai «signori industriali» che «intendono impiantare, sviluppare, decentrare le proprie aziende» in provincia di Belluno, offrendo «località adatte e maestranze intelligenti, serie e attive».
LDV accetta la proposta di Francesco da Cortà e dei fratelli Toscani della Metalflex, a cui fornisce aste in alluminio per occhiali, e si sposta ad Agordo, nel cadorino, dove si trovano le fabbriche di occhiali, per far nascere Luxottica S.a.s., in cui l’ex Martinitt è il socio accomandatario che si occupa della gestione dell’impresa e si espone per cinquecentomila lire, un terzo del capitale iniziale. La storia è arrivata al 1961 e la biografia è giunta a un terzo della sua lunghezza: il Grande Passo in Avanti è stato compiuto. Soltanto otto anni dopo liquiderà gli altri soci con novanta milioni di lire per restare l’unico proprietario dell’azienda. Riguardo questo periodo, quando Luxottica richiede un nuovo periodo di ritmi forsennati, LDV fa un’ammissione inaspettata che esplicita l’ovvio: sopravvive a queste giornate massacranti grazie all’uso di anfetamine. Nel suo caso, si trattava di simpamina, all’epoca un farmaco da banco2.
Dal libro Luxottica: 50 anni di esperienza (fotografia di Max Rommel).
Ma com’è lavorare lì? Luxottica può contare su un bacino di persone che altrimenti sarebbero costrette a emigrare altrove (la provincia di Belluno storicamente è stata la più povera del Veneto): montanari abituati alla fatica quotidiana, le cui possibilità di trovare altri impieghi sono limitate. All’inizio anche LDV aiuta in azienda, così come la moglie Luciana e il primogenito Claudio, un coinvolgimento in prima persona che lo aiuta a guadagnarsi la stima dei dipendenti.
Non esistono orari di lavoro che tengano: bisogna assicurare che i prodotti siano pronti, le consegne rispettate.
«Mi svegliavo che era ancora buio. Aprivo gli scuri e controllavo la fabbrica dall’altra parte del fiume. Trovavo sempre la luce accesa, prima dell’alba», mi racconta uno dei suoi operai dell’epoca. «Allora mi vestivo al volo e cercavo di far alzare dal letto mio fratello che lavorava con me. Svejete che ’l capo l’è già in oficina.»
Le rivendicazioni operaie qui non trovano terreno fertile: Luxottica fin dall’inizio investe in un welfare aziendale che serve a evitare il turnover. Memore del suo passato di operaio maltrattato e ambizioso, LDV vuole formare bene, pagare meglio, trattenere i meritevoli. Ebhardt, non immune dal malcostume di usare il verbo “tuonare” quando riporta frasi di chi si occupa dei diritti dei lavoratori3, segnala la gratitudine che ancora oggi caratterizza i dipendenti nei confronti del padre fondatore, gratitudine che suona autentica ma che è arduo non trovare in parte amara: l’esperienza di Luxottica rimane così rara da rendere comprensibile la venerazione per chi l’ha resa possibile.
«Il capo è un rullo compressore che si pone traguardi sempre nuovi ed entusiasmanti», mi spiega uno dei dirigenti [degli anni Ottanta]. «T’insegna e ti dà fiducia, sa caricarti nella maniera giusta. Però non molla mai, mai.»
Con il passare degli anni, l’azienda si espande coniugando due qualità che raramente vanno di pari passo: rapidità e costanza. Nel 1974 compra Scarrone SpA, il suo distributore italiano, avvisaglia dell’impeto monopolistico di LDV; nel 1978 cambia assetto, trasformandosi in società per azioni. Dopo un breve periodo di cassa integrazione alla fine degli anni Settanta, gli anni Ottanta vedono l’espansione internazionale di Luxottica nel mercato privilegiato degli Stati Uniti, dove la base locale verrà gestita dall’ormai venticinquenne Claudio Del Vecchio.
Nell’epoca del riflusso e di un rinato consumismo, la moda italiana è nel pieno della sua fioritura e l’incontro con Giorgio Armani ratifica l’avvento degli agordini nel mondo del lusso: gli occhiali prodotti per lo stilista, che entra in Luxottica al 5%, negli anni Novanta arriveranno a rappresentare metà del fatturato griffe dell’azienda e un quarto del totale. Dopo Armani, arriveranno anche le licenze per produrre occhiali Yves Saint Laurent, Prada, Valentino, insieme a molti altri, e gli acquisizioni di brand storici del settore come Ray-Ban, Oakley e Persol.
Magari anche i tuoi occhiali, o quelli della persona che ti siede accanto adesso in metropolitana o in uno spazio di coworking, provengono dagli impianti della rapace Luxottica.
Dal libro Luxottica: 50 anni di esperienza (fotografia di Max Rommel).
Fino a questo punto punto, il chiaro successore alla guida dell’azienda è il figlio Claudio, con il quale i rapporti non sono mai stati facili; Del Vecchio ha sempre ammesso in prima persona di non essere stato un padre presente, coinvolto più dalla gestione di Luxottica che dalla vita in famiglia.
La situazione non può migliorare quando, dopo aver divorziato dalla prima moglie, a metà del decennio LDV si risposa con una donna di vent’anni più giovane, Nicoletta Zampillo, da cui ha subito un figlio, Leonardo Maria.
Nel narrare quello che dev’essere stato un periodo tumultuoso per gli equilibri della famiglia, Ebhardt mantiene la stretta neutralità che ci si può aspettare dall’autore di una biografia autorizzata. Inoltre ricorda spesso la riservatezza del fondatore, così come LDV sottolinea la propria scarsa attitudine al parlare, derivante dalla combinazione di un pudore innato e della consapevolezza di non sapersi esprimere al meglio a causa di studi limitati.
Nelle dinastie del capitalismo4 queste vicissitudini hanno un’influenza rilevante che non si esaurisce nell’offrire materiale da gossip. Difficile che Claudio Del Vecchio dormisse sonni tranquilli nel vedere che al fratello minore, nato dopo due sorelle, veniva assegnato il nome del padre (e del nonno), mentre la madre del bambino era a sua volta figlia di Vincenzo Zampillo, maggior rappresentante milanese della Metalflex, l’azienda legata agli inizi di Luxottica. Imbarcandosi in un sorta di excusatio non petita per conto terzi, Ebhardt scrive che Zampillo, al momento del matrimonio, non è più una ragazzina, perché è nata nel 1958 e dunque ha più di trent’anni; in una delle cadute nella sciatteria stilistica del libro, ripete l’uso dello stesso sintagma per riferirsi all’altrettanto non-più-ragazzino LDV, ormai sessantenne alla nascita del quarto figlio.
Vicino a Nicoletta Zampillo, inoltre, troviamo anche Francesco Milleri, che affiancherà l’ex Martinitt nello snodo cruciale di Luxottica nel nuovo millennio: dopo un periodo in cui LDV sembra voler fare un passo indietro, durante il quale affida la gestione dell’azienda al manager Andrea Guerra e ha altri due figli da una terza unione (con l’investor relator Sabina Grossi), il fondatore torna a riprendersi un ruolo di primo piano in modo da trascinare Luxottica — già autonoma nella fase di produzione di montature, nella fase di distribuzione, e nella fase di vendita — alla vittoria nella sfida finale: la fusione con la francese Essilor, titano delle lenti, sancita nel 2018.
Leonardo Del Vecchio arriva per i sessant’anni di Luxottica: i primi trent’anni erano stati celebrati nel 1991 con un libro intitolato Un uomo che vede lontano, con splendide fotografie di Fulvio Roiter e testi di Luca Goldoni; per il cinquantenario, nel 2011, un altro libro, Luxottica: 50 anni di esperienza, con fotografie di Max Rommel e testi di Bill Emmott, più un cortometraggio, tanto encomiastico quanto brutto, girato da Gabriele Salvatores.
Ebhardt dedica il tempo necessario alla mitologia delle origini, eppure non indaga su un evento: a causa di ciò che viene definito “un errore di gioventù sui banchi dell’officina”, Del Vecchio è privo dell’ultima falange dell’indice destro. Per un operaio adolescente che non può contare sull’appoggio economico della famiglia sarebbe un incidente grave; diverse le circostanze di un giovane fondatore, se l’incidente fosse avvenuto più avanti. Volendo esser cinici, poteva essere perlomeno un ulteriore tassello da aggiungere all’immagine di un uomo che è riuscito ad avere successo contro ogni previsione.
In compenso, Ebhardt onora la propria carriera di giornalista economico: partendo da un documentato lavoro di ricerca, segue con precisione la crescita dell’azienda. Nel ritrarre Agordo e i suoi abitanti, evita sia un certo pauperismo superficiale, sia le derive folkloriche riservate a Milano. Meno indovinati i momenti in cui entra nella narrazione (un esempio per tutti: il libro si conclude con una playlist di canzoni da lui ascoltate) e talvolta poco a fuoco i riferimenti culturali (Pavese, Stranger Things, il film Le iene), che offrono indizi più riguardo la cultura media del segmento demografico a cui appartiene l’autore che sul contesto della vita di LDV.
Fastidioso, sebbene prevedibile, l’uso mercenario del dialetto (non può mancare il veneto schei5) mescolato ad anglicismi da classe creativa che disimpara la propria lingua in un anelito di internazionalità (soul-searching, real estate, leading by example, lost decade).
A chi vuole argomentare che nessuno legge la biografia di un milionario per trovare una lingua elegante, si può rispondere con una citazione proprio di Leonardo Del Vecchio:
Se vuoi restare nel mercato devi cercare sempre la perfezione. E non la perfezione come malattia, non come ideale astratto cui rifarsi, ma la perfezione come dato di fatto.
Il mercato editoriale non richiede più la perfezione linguistica nemmeno alla narrativa letteraria, ma non vedo perché doversi accontentare.
BRUNELLO CUCINELLI: L’IMPRENDITORE-FILOSOFO
Sempre ne La Notte, l’industriale Gherardini spiega a Pontano, in un italiano che ne suggerisce le origini umili: “Ho sempre pensato alle mie imprese come a opere d'arte, e quello che io ricavavo di utile, quasi quasi a me non mi riguardava, perché l'importante per me è creare qualcosa di solido, che ci sopravviva.”
Parole che potrebbe pronunciare anche Brunello Cucinelli, che nel 2018 ha dato alle stampe Il sogno di Solomeo per Feltrinelli. Tanto la copertina di Leonardo del Vecchio è convenzionale, quanto quella dell’autobiografia di BC dimostra un’estetica inconsueta per il genere: il riferimento più diretto è a una vecchia edizione delle Memorie di Adriano, il capolavoro di Marguerite Yourcenar, con qualcosa della grafica di certi Marsilio della collana Letteratura Universale.
Proprio dal romanzo francese BC trae l’epigrafe, “mi sentivo responsabile della bellezza del mondo”, attribuendola all’imperatore romano — imprecisione che ripete quando usa citazioni di Adriano.
Se la biografia di Del Vecchio è scritta da un giornalista e quella di Federico Marchetti, come vedremo, è stata riordinata da una giornalista, Il sogno di Solomeo sembra essere nato dalla collaborazione dell’imprenditore con l’architetto Massimo De Vico Fallani, che probabilmente ha svolto funzioni analoghe6. Il risultato è un testo in cui si riconoscono la cordialità e il citazionismo di BC, ma che, rispetto alle sue interviste, perde un po’ di verve.
L’autore, nato vicino a Perugia nel 1953, ricorda con tenerezza i genitori e il nonno paterno7, l’infanzia ancora contadina, la vita al passo con le stagioni; a questo scenario di purezza quasi edenica succede il trasferimento in un centro urbano più grande, a causa del cambiamento di lavoro del padre, che da contadino diventa operaio. Le umiliazioni patite dal genitore in fabbrica segneranno la crescita del giovane Brunello, che si diplomerà geometra e si iscriverà poi alla facoltà di Ingegneria.
BC a sedici anni.
Due sono le peculiarità salienti de Il sogno di Solomeo: innanzitutto, BC non sottoscrive affatto l’ideologia dell’hustle culture, del dover lavorare fino allo sfinimento, e, anzi, non teme di apparire come… uno scansafatiche. Racconta di aver passato dieci anni al bar, nel quale ha l’occasione di entrare in contatto con una varia umanità, inclusa una prostituta che descrive con affetto (castissimo, s’intende).
In secondo luogo, le origini della sua azienda rimangono misteriose. Anche nelle interviste che ho ascoltato e letto, BC non scende mai nei particolari riguardo la fondazione, che avviene nel 1978. I fatti che annota sono i seguenti: è da sempre attento al modo di vestire; da giovane fa l’indossatore; la sua futura moglie, Federica, è figlia del proprietario di “un piccolo negozio di mercerie, stoffe e casalinghi”. Se in Leonardo Del Vecchio possiamo seguire passo passo l’accidentato percorso del fondatore di Luxottica, ne Il sogno di Solomeo invece BC rimane sfuggente:
Gli inizi furono incerti, come spesso accade, però tenni duro, ed ecco che un giorno qualcosa cambiò in positivo.
Sempre amabile è in me il ricordo di quella bravissima e seria persona alla quale chiesi di vendermi circa venti chilogrammi di filato in cashmere di colore écru, il quantitativo bastevole a realizzare circa sessanta pullover.
Con un gesto fraterno mi disse che me li avrebbe venduti senz’altro, poi aggiunse una frase che ancor oggi mi commuove: “Mi pagherai quando avrai i primi denari. Ti conosco, sei un ragazzo bravo”. Purtroppo una dura malattia lo colpì nella sua iniziata vecchiezza e quindi non ebbi il tempo di ringraziarlo quanto avrei voluto.
Meraviglioso fu poi il primo incontro con Alessio, forse tra i più esperti tintori al mondo per il cashmere. Mi recai da lui con sei pullover da donna e gli chiesi di tingerli in sei colori diversi tra loro ma di toni non troppo forti. La prima risposta secca fu: “Lei è pazzo a tingere il cashmere in questi colori”. Quasi per tutta una mattina cercai in ogni modo, supplicandolo, di convincerlo a soddisfare la mia richiesta. Alla fine mi disse: “Proviamo, però non posso garantire il risultato”. Senza dubbio è stato il momento più importante della mia vita.
Anche se è improbabile che qualcuno legga Il sogno di Solomeo per usarlo come modello pratico, considerata la distanza del mondo di oggi dall’Umbria del 1978, una tale assenza di dettagli resta notevole. Da questo breve estratto si può osservare anche lo stile che caratterizza l’autobiografia di BC: piano, ostentatamente curato, con alcune derive arcaizzanti che non stonano in uno scritto che ci tiene a mantenere una patina da classico.
Il testo è corredato di immagini tratte da codici medievali e colmo di rimandi a diversi pensatori, sia religiosi come Francesco d’Assisi e Tommaso Moro, sia figure dell’antichità classica come Seneca, Eraclito e Marco Aurelio.
BC, che annovera la lettura di Kant tra i momenti decisivi della propria vita, dà l’impressione di vedersi come una sorta di imperatore-filosofo, o meglio: un imprenditore-filosofo. Il fulcro del suo pensiero è il cosiddetto “capitalismo umanistico” (chissà perché non “capitalismo dal volto umano”?), che si attua nel proposito di trattare i dipendenti come persone e nel non creare danno all’ambiente. Può essere utile ricordare il titolo moderno di un libro del mercante quattrocentesco Benedetto Cutrogli, che Cucinelli evoca spesso e di cui ha scritto la prefazione: Arricchirsi con onore (Rizzoli, a cura di Alessandro Wagner), uscito nel 2018 come Il sogno di Solomeo.
La testa di Adriano, i modelli e Brunello Cucinelli alla fine di una sfilata nel Foro delle Arti. Dal sito dell’azienda.
In generale BC appare più incline a dispensare saggezza che a parlare di lavoro: i viaggi negli Stati Uniti, in Mongolia, in Giappone occupano diverse pagine in cui l’autore si dilunga in osservazioni culturali, sebbene siano tutti spostamenti motivati dall’espansione dell’azienda.
Ed è proprio il lavoro il grande assente del libro: in concreto, chi produce i pionieristici sessanta maglioni? Non è dato saperlo. I riferimenti ai dipendenti sono sporadici e laterali, a sottolineare l’apparente scarso interesse dell’autore nel rappresentare gli aspetti pratici della professione che esercita da trent’anni. Brunello Cucinelli, imprenditore di enorme successo che potrebbe a giusto titolo vantarsi di ciò che è riuscito a raggiungere partendo dal nulla e salvaguardando le condizioni di lavoro8, preferisce piuttosto soffermarsi sui testi prediletti, che tradiscono l’affidamento al canone da parte di un autodidatta e sono lontani dai paradigmi della Silicon Valley: ciò non è affatto privo di valore, tuttavia questa lettrice avrebbe apprezzato di più le idee del filosofo se fossero state accompagnate da una simile concentrazione sugli aspetti essenziali della gestione di un’azienda da parte dell’imprenditore.
FEDERICO MARCHETTI: IL FUTURO PASSATO
“Io vedevo un futuro così, nella mia immaginazione”, conclude il Gherardini de La notte.
Dopo lo schivo Leonardo Del Vecchio, sempre intento a osservare superiori e rivali per carpirne i segreti, e l’affabile affabulatore Brunello Cucinelli, Federico Marchetti si distingue per la simpatia, che forse lui stesso attribuirebbe con orgoglio alle sue radici romagnole. Del resto, la sua capacità di presentarsi bene e di intessere relazioni ha un certo peso nel suo successo.
Le avventure di un innovatore, di cui ha scelto titolo e copertina9, nasce dalle interviste raccolte dalla giornalista e coautrice Daniela Hamaui (a sua volta selezionata da FM), ed è uscito per Longanesi alla fine del settembre 2023.
Anche l’autobiografia del più giovane dei tre tycoon, nato nel 1969 a Ravenna, include un episodio inaspettato. La famiglia Marchetti, quando arriva Federico, è tornata ormai a vivere nella città dei mosaici, dove il padre è capo-magazziniere per la Fiat e la madre lavora come centralinista; c’è un fratello maggiore, Fabrizio. Una comune famiglia degli anni Sessanta, si direbbe quasi da Mulino Bianco, finché Marchetti non tratteggia, con la compassione di un figlio adulto, una situazione familiare complicata dalla sindrome bipolare del padre. Il disagio mentale di cui soffriva Giancarlo Marchetti può essere difficile da gestire per chi ne è affetto e per i suoi cari ancora oggi, nonostante i passi in avanti fatti per quanto riguarda diagnosi e consapevolezza generale. Mi sono chiesta se questa trasparenza, non richiesta in questo tipo di pubblicazione, sia stata in parte ispirata — con i dovuti aggiustamenti, visti i temi diversi — dal coming out di Tim Cook nel 2014 apparso su Bloomberg, un momento importante per quanto riguarda la visibilità della comunità LGBT+ in un ambiente come la Silicon Valley.
Rispetto a Cucinelli, che ha interrotto un’opaca carriera universitaria, e a Del Vecchio, che a quattordici anni deve iniziare a lavorare, FM può contare su un’istruzione di prim’ordine. Dopo ragioneria e un breve esperimento all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli (!), passa il test della Bocconi e si trasferisce a Milano, sfruttando al massimo gli anni dell’università. Dopo la laurea nel 1993, ancora nomi prestigiosi sul suo curriculum: Lehman Brothers, poi un MBA alla Columbia, infine la società di consulenza Bain.
Dalle caratteristiche della sua azienda emerge anche una differenza che indica un cambiamento economico fondamentale. Luxottica e Brunello Cucinelli S.p.A. partono da oggetti concreti (montature per occhiali e maglioni) con cui i rispettivi fondatori avevano un legame: più casuale per Leonardo Del Vecchio, che si era ritrovato a fare l’incisore solo perché era una delle poche strade disponibili; più sentito per Brunello Cucinelli, da sempre attratto dal vestiario. Marchetti investe sulla propria formazione, ma a lungo non sa bene cosa farà: cerca un’idea. I primi due migliorano la tradizione, portando all’apogeo il settore manifatturiero italiano; FM, dopo una ricognizione ambientale, ne fa partire una nuova, subito globale. Lo dice anche in un’intervista: “I’m connecting the dots, but the dots are already there”. Alta moda + tecnologia = YOOX.
FM concepisce YOOX nell’inverno ‘99; nella primavera successiva inizia a cercare investitori (Amazon vende ancora soltanto libri, e arriverà in Italia nel 2010). Il finanziamento più importante arriva da Elserino Piol, definibile senza iperboli come il primo venture capitalist italiano, che FM ricorda tuttora nelle interviste con calore e riconoscenza.
Dopo l’ideazione milanese, YOOX poi nasce… di nuovo in provincia: il primo magazzino si trova a Casalecchio di Reno, di fianco a un negozio che vendeva stock di abiti griffati al dettaglio. Il proprietario del negozio è il marchese Giuseppe Paternò di San Giuliano10, marito di Fiamma Ferragamo e padre di Diego, un amico dai tempi di Bain a cui di conseguenza spetta il 50% delle quote di YOOX.
Il rischio di partenza è molto più immediato rispetto all’accomandita semplice di Luxottica e ai sessanta maglioni di Cucinelli: non solo la quota di Piol equivale a un miliardo e mezzo di lire, ma FM viene dalla finanza ed è privo di esperienza tecnica in pressoché tutti gli ambiti coinvolti nel mettere in piedi YOOX (su tutti, logistica e informatica). Ha bisogno di una squadra, l’e-commerce per la moda non esiste — così FM cerca le persone giuste e, insieme, lo inventano.
La squadra YOOX, con al centro Federico Marchetti, nel 2000.
Delegati gli aspetti più tecnici, FM si concentra moltissimo sull’estetica del sito e sul claim che deve accogliere i primi acquirenti. Decide di non far leva sui costi contenuti ma su un senso di appartenenza e di accoglienza: non “50% off”, bensì “fashion victims, welcome home”.
Le fashion victim, quindi, sono il target privilegiato di YOOX. Perché non vanno direttamente in un negozio fisico? I prezzi sul sito possono essere più abbordabili, ma partono comunque da cifre rilevanti. Basta un po’ di sociologia: Marchetti con YOOX ha intercettato l’ultimo strascico della diffusa prosperità postbellica che aveva permesso a una larga fascia di giovani di salire sull’ascensore sociale. Uno di questi giovani è lo stesso FM, che infatti afferma di essersi approcciato alla costruzione di YOOX come se ne fosse il cliente zero. Persone intorno ai trent’anni, con una certa indipendenza economica e dotate di buon gusto, che sanno usare Internet, lontane dai grandi centri, magari ancora un po’ timide quando si tratta di entrare in una boutique perché di estrazione sociale medio-bassa: nel periodo che precede la crisi economica del 2008, questa fascia di mercato è matura e non resta che intercettarla. YOOX è pronto.
Il sito, lanciato il 21 giugno 2000, raggiunge il traguardo dei primi 100 ordini entro dieci giorni, soddisfacendo una delle clausole del contratto con Piol e portando così una nuova tranche di finanziamenti. Una volta partito, YOOX non si fermerà più, aggiungendo quasi subito una costola importante: sono loro a progettare e a mettere online i siti di e-commerce di alcune grandi maison — tra le prime, c’è un nome incontrato anche in Leonardo del Vecchio: Armani.
Un’opera di Barbara Kruger.
Nel corso della lettura si rimane colpiti da certi parallelismi tra lo sviluppo di YOOX e di Luxottica, in particolare la fusione con un altro gigante come ultimo colpo da parte del fondatore (a EssilorLuxottica corrisponde YNAP, nato dalla fusione di YOOX con lo statunitense Net-à-Porter).
Dopo l’ultimo grande colpo, però, le strade divergono. Ormai anziano, Leonardo Del Vecchio è morto lasciando Luxottica in eredità ai figli e alla moglie (risposata nel 2010 dopo il divorzio di dieci anni prima) Nicoletta Zampillo. Federico Marchetti, che invece aveva appena cinquant’anni, compie una scelta inconsueta: vende a Richemont e lascia. La sensazione è che FM sia consapevole di essere arrivato allo zenith, di non avere nient’altro da conquistare. Nel 2019, quando viene siglato l’accordo con il gruppo svizzero, YNAP è in buone condizioni, ma i cambiamenti di mercato causati della pandemia oggi lo rendono un asset che ha perso molto del suo rilievo.
FM, libero da obblighi, conta di dedicarsi di più alla figlia, nata nel 201111, e a nuovi progetti legati all’ecologia, soprattutto tramite la Fashion Task Force da lui presieduta, parte della Sustainable Markets Initiative fondata da Carlo III d’Inghilterra. Alcuni esempi: una collaborazione con Armani per il ristabilimento di piantagioni di cotone in Puglia, dove erano diffuse fino agli anni Sessanta prima di essere abbandonate con l’arrivo del poliestere, oppure la collaborazione con Brunello Cucinelli attraverso “un progetto in Himalaya per ripristinare paesaggi degradati e recuperare le abilità artigianali delle comunità, migliorando le economie locali del cachemire, del cotone e della seta”.
Ammetto di aver trovato più intrigante il fatto che FM sia tra i produttori di April, il film di Dea Kulumbegashvili premiato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, così come il suo contributo al restauro di Amarcord di Federico Fellini. Chiudiamo un cerchio, allora: era stato proprio l’ex Martinitt Angelo Rizzoli a produrre La dolce vita e 8½ del regista riminese.
E adesso chiudiamo davvero. Federico Marchetti non menziona mai Leonardo Del Vecchio, però sembra condividerne la ricerca della perfezione:
YOOX è sempre stato in movimento, in continua evoluzione. Ero spesso insoddisfatto dei risultati, sentivo di poter fare qualcosa di più o di meglio. Avevo un desiderio assoluto di perfezione che mi costringeva a mettere in discussione ogni cosa.
Se desideri sostenere la newsletter, puoi fare una donazione sulla sua pagina Ko-fi; sarei ugualmente contenta se in alternativa decidessi di fare una donazione a Medici Senza Frontiere.
Il titolo di questa uscita è ispirato a The Love of the Last Tycoon, la versione risalente al 1993 del romanzo finale di F. Scott Fitzgerald (rimasto incompiuto) curata da Matthew Bruccoli; Fitzgerald, che aveva lavorato a Hollywood come sceneggiatore, aveva modellato il protagonista Monroe Stahr sul leggendario produttore cinematografico Irving Thalberg. In italiano è L’amore dell’ultimo milionario (Minimum Fax, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini). Ho scelto di mantenere in italiano il termine tycoon12 perché penso che trasmetta un filo d’ironia che non mi dispiace. Sono anche consapevole del fatto che non sono per forza gli ultimi in assoluto.
Questa uscita ha avuto diverse incarnazioni: una prevedeva l’inclusione delle biografie di Giorgio Armani e di Luciano Benetton; un’altra prendeva in considerazione anche il piccolo trend dei romanzi incentrati sulle famiglie industriali italiane (i Florio de I Leoni di Sicilia, i Crespi di Al di qua del fiume, i Rizzoli de Il canto della fortuna, i Menabrea de La salita dei giganti). Alla fine ho preferito concentrarmi su tre figure emblematiche del settore del lusso, le cui date di nascita — così come le date di nascita delle rispettive aziende — sono separate da poco meno di vent’anni, per offrire uno spaccato vasto ma non troppo digressivo.
Il Bonus LAB è già abbastanza lungo senza aggiungere i link agli articoli consultati, ma qui c’è la playlist delle interviste audio e qui la playlist delle interviste video. Nell’ultimo periodo credo di aver sentito più la voce di Marco Montemagno che la mia.
L’immagine di copertina su Substack è, banalmente, un’opera di Andy Warhol, anche se in origine volevo usare il ritratto di un protervo Aldo Brachetti Peretti con i figli Ugo e Ferdinando scattato da Tina Barney per The Europeans.
Grazie a Silvia per il sostegno durante e dopo l’elaborazione del testo; a Livia ed Elisa per la rilettura; a Federico e Harald per il tifo costante che mi ha aiutato ad arrivare al match point.
Per contattarmi o per regalarmi un dolcevita di Cucinelli, è sufficiente rispondere a questa email.
In memoria di Giulio Thybaud.
Utilizzato anche per la precedente biografia di Ebhardt, dedicata a Sergio Marchionne, oltre che per le biografie di Michele Ferrero ed Elio Fiorucci, rimanda ovviamente alla madre del genere, Steve Jobs di Walter Isaacson.
Stesso metodo di approvvigionamento accessibile pochi anni prima a Ivo, il protagonista de I sensi truccati di Paola Chiesa.
«L’emigrazione rappresenta una vera e propria deportazione delle nostre risorse migliori, di coloro che potrebbero lottare sul posto per uno sviluppo economico alternativo», tuona una rappresentante locale del Partito comunista sulle colonne del Nuovo Domani.
Affermazioni in linea con quelle che oggi si fanno riguardo i cosiddetti cervelli in fuga, non certo il comizio delle Tesi di aprile.
Cfr. gli scontri per la successione dei Murdoch o degli Arnault. Parlando dell’importanza dei matrimoni, invece, basta pensare ai primi passi dell’ascesa di Raul Gardini o di François-Henri Pinault.
Giorgio Armani in un’intervista del 1977 a Cosmopolitan:
Ammiro Gianni Agnelli perché ha un suo stile anche nelle piccole cose, nelle cose banali. Per esempio quando parla di denaro usa sempre la parola quattrini che è un vocabolo dell’Ottocento.
Purtroppo non sono riuscita ad accertare se abbia punti di contatto con un rarissimo libro del 1998 intitolato Solomeo. Un’impresa umanistica nel mondo dell’industria, a cura di De Vico Fallani e di Maurizio Naldini. Entrambi escono per segnare anniversari importanti — il ventesimo e il quarantesimo anno dalla fondazione — della Brunello Cucinelli S.p.A.
Invece la famiglia che forma BC con la moglie Federica occupa uno spazio molto ristretto. Agostino da Ippona nelle sue Confessioni menziona il figlio Adeodato per la prima volta quando quest’ultimo viene battezzato da adolescente; allo stesso modo, ne Il sogno di Solomeo anche le figlie Camilla e Carolina sono presenze abbastanza fantasmatiche, sebbene la prima lavorasse in azienda da almeno quattro anni al momento della pubblicazione.
L’azienda umbra è nota per le buone condizioni di lavoro e Solomeo, destinato all’abbandono come tanti borghi, è rifiorito grazie alla sua presenza.
Che riprende, immagino, un servizio fotografico scattato dallo stesso fotografo, Olaf Blecker, per Wired.
La famiglia che ispirò I Viceré di Federico De Roberto.
Nei ringraziamenti FM dice della moglie, non a caso, che “ha preso le redini dell’educazione” della bambina. Forse un altro punto in comune con LDV.
Ego quoque, quindi, per quanto riguarda gli anglicismi.