
Le soldatesse — Ugo Pirro
Sellerio.
Ugo Pirro forse non è noto al grande pubblico quanto Suso Cecchi D'Amico, Age & Scarpelli o Cesare Zavattini, eppure a lui si devono le sceneggiature di pellicole come A ciascuno il suo, Il giorno della civetta, La classe operaia va in paradiso e Il giardino dei Finzi-Contini. Insieme al sodale Elio Petri, Pirro scrisse anche uno dei più importanti film italiani del Novecento: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Al lavoro cinematografico, Pirro ha spesso affiancato l'attività di romanziere e, basandosi sulle proprie esperienze di soldato durante la campagna di Grecia, ha esordito nel 1956 con Le soldatesse. Nel corso di questo testo singolarmente anti-eroico seguiamo un giovane tenente dei bersaglieri alle prese con un incarico anomalo: trasportare dodici prostitute greche da Atene ai vari comandi dell'esercito italiano sulla strada per Volos.

Le soldatesse comincia con una panoramica sulla situazione ellenica: gli abitanti delle città sono ridotti alla miseria e le vie di Atene sono deserte, tuttavia regna una relativa calma. I rapporti di forza tra invasori italiani e invasori tedeschi sono sbilanciati, con i secondi che fanno pesare il loro contributo decisivo per la vittoria, affatto scontata quando l'esercito di Mussolini combatteva da solo. Inutile che l'Italia sia una potenza coloniale in Grecia e, in seguito alla guerra italo-turca con cui si era assicurata il dominio sulla Libia, amministri il Dodecaneso da trent'anni.
Nel suo bel libro di memorie Soltanto un nome nei titoli di testa, Ugo Pirro ricorda così l'avvenimento che ha ispirato il suo primo romanzo:
Andavo a caricare all'Intendenza militare barili di vino e casse di scatolame. Attraversai le strade di Atene senza un pensiero: ero vuoto come una camera d'aria.
Sulla via del ritorno, a un posto di blocco, un carabiniere mi chiese di prendere a bordo una donna mostruosamente elegante e una ragazzina pelle e ossa, per portarle a Tebe. La «signora» aveva una pelle lucida, un odore di sudore stantio che le ascelle spandevano; parlava un francese da tabarin. I piaceri parigini, la miseria di Atene avevano reso quella donna una strega. Alla ragazza restava il profumo dell'infanzia e la voce sottile delle bambine; si stringeva alla «madama» come un cagnolino affamato. La «francese» era al nostro servizio, gestiva uno dei postriboli riservati ai militari italiani, reclutava le ragazze ad Atene: le minorenni erano le più richieste nella speranza che fossero ancora sane. [...] Quella ragazza, sola nel cassone del camion traballante sulle strade di polvere e sassi, era destinata al casino di Tebe. Rideva perché era salva: avrebbe mangiato ogni giorno la stessa razione del soldato.
Still she haunts me, phantomwise...
Se del tenente non veniamo mai a sapere il nome, pian piano conosciamo quelli di gran parte delle giovani donne reclutate per i bordelli militari, cittadine sfibrate dalla fame, che, come la ragazza del ricordo di Pirro, hanno deciso di prendere la via della prostituzione piuttosto che morire d'inedia. Le "civili greche impiegate dall'esercito italiano", alle quali spetterà salario e rancio, si chiamano Sofia, Penelope, Aspasia, Briseide, Ketty, Nausica, Ifigenia, Tula. Soprattutto due di loro colpiscono il narratore, due amiche: Elenitza ed Eftichia.
Appena salite sul camion Fiat 626, le ragazze vengono subito trattate come merce da quasi tutti, in primis dall'autista Esposito e dal maggiore che si è unito a questa bizzarra missione. Alcune di loro, come il tenente, hanno la malaria.
Faceva caldo, ma indossai il cappotto ai primi brividi. Le ragazze mi guardavano impietosite, e parlavano tra loro in dialetto. Eftichia mi guardava, ora, senza rancore; mi poggiò sulla fronte la sua mano esangue e fredda per il vento della sera, mi sentii sollevato e liberato da ogni responsabilità; ci scoprimmo, così, semplicemente amici.
Quel suo gesto l'avevo implorato dignitosamente, come se fra noi due io fossi il vinto.
Presto la mia febbre salì a quaranta, lo capii dal viso di Eftichia che mi stringeva il polso allarmata, mentre le altre mi guardavano impensierite. Tirai fuori dalla tasca un tubetto di chinino, ingoiai due pasticche. […]
Di lì a poco anche qualche ragazza cominciò a tremare per la malaria.
Elenitza parlò improvvisamente e con rabbia.
«Anche a noi spetta il chinino!»
Eftichia fu una delle ultime ad avere i brividi.
Nell'oscurità della sera, appena schiarita da una lampada ad olio, il nostro sembrava un carico di epilettici. Offrii ad Eftichia le ultime due pasticche di chinino ed ella le buttò via con gesto solenne e tranquillo.
Mi venne voglia di schiaffeggiarla, la febbre mi inviperiva e anche mi disarmava.
«Non bastavano per nessuno e allora niente per nessuno!» disse.
Ridiventammo nemici, sentivo tornare il gelo del primo momento.
Il conquistatore ha scelto la sua preferita, che però ha altre idee? Forse. È a credito di Pirro che la voce narrante del romanzo sia, alla fine, un ragazzo come tanti. Ha ventidue anni, la sua barba fa ancora fatica a crescere. Anche lui frequenta i postriboli, pur conoscendone le condizioni; anche lui, con la fidanzata che lo aspetta in Italia, si era trovato una ragazza del posto per passare il tempo; anche lui conosce l'antica regola che divideva le ragazze da sposare e le ragazze da scartare. Pur non essendo del tutto privo di umanità — la prostituzione infantile e gli stupri più violenti lo disgustano — è evidente come su di lui abbia agito la macchina propagandistica del regime, tesa a disumanizzare il nemico. Eppure qualcosa si agita nella sua psiche schiacciata dal Ventennio: il paesaggio greco è troppo simile quello della sua Campania, e il cibo, i gesti, i volti delle persone rivelano un'affinità mediterranea. Ammette più volte di avere paura.
Il viaggio Atene-Volos è movimentato. Alcune ragazze vengono rapite dai partigiani greci e poi riconquistate dai soldati italiani, ma il carico umano viene gradualmente distribuito. Eftichia sembra sparire ogni sera (una delle ragazze afferma che conosce questi luoghi, conosce delle persone); Elenitza si occupa di distrarre il tenente, che non deve accorgersi della sua mancanza.

"Le eroine del 1940": manifesto greco che celebra le partigiane della Resistenza.
Per quanto riguarda la trama de Le soldatesse, ci sono almeno due precedenti che risalgono al 1953: per Einaudi esce la raccolta di racconti Sagapò di Renzo Biasion, selezionata da Elio Vittorini (che rifiutò Le soldatesse proprio per la somiglianza tematica); la rivista Cinema nuovo pubblica un soggetto dal titolo L'armata sagapò, basato sulle analoghe esperienze in Grecia dell'autore Renzo Renzi. Nell'autunno dello stesso anno, Renzi fu arrestato e incarcerato insieme al direttore della rivista, Guido Aristarco, con l'accusa di vilipendio all'esercito; per entrambi la condanna è a diversi mesi di reclusione, che diventeranno quaranta giorni con la condizionale.
Il libro di Ugo Pirro, come Sagapò, non sarà fonte di cattive conseguenze, anzi, riscuote un certo successo e viene tradotto in varie lingue europee. Un produttore francese compra i diritti cinematografici, anche se, a causa di ciò che Pirro definisce "difficoltà politiche", bisognerà aspettare il 1965 prima che venga adattato per il grande schermo da Valerio Zurlini.
Andrea Camilleri, nella Nota che accompagna il romanzo nell'edizione Sellerio, spiega così la differenza di trattamento rispetto al soggetto di Renzi:
[I]l libro di Pirro si era da se stesso reso inattaccabile, non per attenuazione dei toni o per avere astutamente glissato su argomenti particolarmente sgradevoli, ma per le sue intrinseche ed evidenti qualità. La prima delle quali era l'indubbio rifiuto di ogni atteggiamento o presa di posizione che avessero carattere moralistico. Il narratore […] è a un tempo testimone e partecipe di alcuni fatti: ma questi fatti egli ce li propone per quelli che sono, senza porre sotto accusa un esercito e gli uomini che questo esercito compongono: se un'accusa c'è essa viene affidata al lettore, viene desunta dal lettore, e riguarda la stupidità, la crudeltà, l'orrore (anche e soprattutto morale) della guerra, di ogni guerra.
Camilleri ha ragione: Le soldatesse si distingue per l'essenzialità di un racconto sempre ancorato nella prospettiva verosimile di un giovane soldato italiano che non ha consapevolezza razionale del significato delle sue azioni. Il tenente assiste a violenze e prevaricazioni di ogni tipo, talvolta volgendo la testa per non vedere (ma non voler vedere è diverso da non capire), spesso senza alcuna reazione. Tutto rientra nella norma bellica e viene registrato con lucidità, senza le giustificazioni che ci si potrebbe aspettare da una narrazione posteriore agli eventi, in particolar modo dalle narrazioni italiane, spesso pronte a sottolineare più la brutalità dell'alleato tedesco che la propria.
Allo stesso tempo, Camilleri ha torto. L'Italia non è mai stata un paese di lettori, non lo era nemmeno negli anni Cinquanta, un periodo in cui il cinema italiano godeva invece di buona salute al botteghino. L'impatto di un eventuale film tratto dal soggetto di Renzi, magari diretto da un regista affermato, non è paragonabile a quello dei libri di Biasion e Pirro. Del resto, anche il regime fascista conosceva il potere sulle masse della settima arte: la Mostra del cinema di Venezia è stata fondata nel 1932 e assegna tuttora alle migliori interpretazioni la coppa Volpi, dal nome del gerarca Giuseppe Volpi.
La conclusione de Le soldatesse non è trionfale. Il romanzo termina il giorno in cui viene annunciata la vittoria nazifascista di Tobruk, nel giugno 1942. Eftichia, dopo un ultimo incontro con il tenente, sparisce di nuovo (e tutti le augurano buona fortuna, me compresa). Le ragazze rimaste iniziano a lavorare nei vari bordelli militari.
La scena finale si svolge durante un pranzo a Volos: dopo tante pagine sull'indigenza dei greci, provocata dalla guerra, e sulla loro disperazione, l'abbondanza di cibo riservata agli ufficiali può soltanto nauseare chi legge. Il tenente compie un gesto, un gesto minimo, e poi di sé non ci offre altre notizie.
«Mi hanno svegliata mentre stavo facendo un sogno curioso.»
«Racconta» dissi.
«Non ti dispiacerà?»
«No.»
«Ecco, sognavo che l'esercito greco aveva occupato l'Italia e che mio fratello era arrivato a Roma su un grosso camion a caricare ragazze affamate, per portarle ai soldati. Ed una di queste ragazze era tua sorella. E mio fratello aveva la tua stessa faccia.»
«Basta» dissi. E le detti uno schiaffo.
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Panorami (ovvero: quali altre opere mi ha fatto venire in mente questo libro?)
Chiunque abbia già letto La pelle di Curzio Malaparte può rintracciarne l'influenza nel testo di Ugo Pirro, com'è evidente anche dall'ultima citazione. L'egocentrico Malaparte apprezzò Le soldatesse: Pirro ricorda, sempre in Soltanto un nome nei titoli di testa, che lodò il romanzo nella sua rubrica su Tempo illustrato.
Il celebre verso di Orazio, dal secondo libro delle Epistole: Graecia capta ferum victorem cepit — la Grecia conquistata conquistò il suo feroce vincitore.
Altro?
L'unica vera riserva che ho sulla trama del romanzo dipende da una scena troppo vicina alla fine per parlarne qui.
Sagapò è la traslitterazione in caratteri latini del greco σ'αγαπώ, "ti amo". "Armata sagapò" è il soprannome dispregiativo che Radio Londra attribuì all'esercito italiano in Grecia.
Se ti interessa la storia del cinema italiano, consiglio calorosamente Soltanto un nome nei titoli di testa di Ugo Pirro, nel quale parla anche del suo romanzo (oltre a essere un piacere da leggere, è stato utilissimo nel preparare quest'uscita). Come gli altri romanzi di Pirro, sembra indisponibile se non nel circuito dell'usato e nelle biblioteche.
Ho acquistato Le soldatesse grazie alle donazioni di Ludovica C. (05/02/2022) e di Manuel (05/03/2022).
Grazie ad Andrea per la revisione del testo.
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L'altra biblioteca tornerà il 3 maggio.
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