LAB 39: La principessa di Clèves di Madame de La Fayette

La principessa di Clèves — Madame de La Fayette
Garzanti; traduzione di Renata Debenedetti.
Quando ero piccola le mie letture erano caotiche, senza alcuna sorveglianza adulta: sceglievo libera dalle costrizioni del gusto e dei timori altrui, basandomi su copertine intriganti e titoli che promettevano misteri. Con quali conseguenze? Per esempio, non ho mai avuto bisogno di spiegazioni sulla meccanica dell'atto sessuale grazie al ménage à trois descritto con una certa precisione da Ken Follett ne Lo scandalo Modigliani.
Tra i volumi che avevo aperto, ignorante e curiosa, c'era anche La principessa di Clèves, a mia insaputa uno dei testi fondativi della tradizione letteraria francese; bambina com'ero, mi sembrava piuttosto che potesse essere una fiaba e, in effetti, cominciava come alcune fiabe, con la corte di un re e una bellissima principessa. Tuttavia, se le grossolanità di Ken Follett erano alla mia portata, non si poteva dire lo stesso della prosa e dell'etica di Madame de La Fayette, perciò abbandonai presto il libro.
Ci avrei ripensato anni dopo, durante una conversazione con la madre del ragazzo di cui ero innamorata ai tempi del liceo; lei, sapendo che ero una lettrice, mi aveva consigliato La principessa di Clèves, del quale ricordavo soltanto una scena all'inizio, in cui la protagonista incontra per la prima volta colui che sarà suo marito.
Il giorno seguente al suo arrivo, madamigella di Chartres si recò a scegliere delle gemme da un italiano che ne faceva commercio in tutto il mondo. Costui era venuto da Firenze con la regina e si era talmente arricchito con i suoi traffici che la sua casa pareva piuttosto quella di un gran signore che non di un mercante. Mentre madamigella era lì, sopraggiunse il principe di Clèves. [...] Capiva dall'aspetto di lei e da quello del suo seguito che doveva essere persona di alto lignaggio; la sua giovinezza gli faceva pensare che fosse damigella, ma, poiché non era accompagnata dalla madre e l'italiano, che non la conosceva, la chiamava signora, non sapeva cosa pensare e continuava a guardarla con meraviglia. Si rese conto però che i suoi sguardi la imbarazzavano, contrariamente a quanto accade alle giovinette, che vedono sempre con piacere gli effetti della loro bellezza; e si rese anche conto che per causa sua ella mostrava una certa impazienza di andarsene, cosa che fece di lì a poco. Il principe di Clèves si consolò di perderla di vista nella speranza di poter presto sapere chi ella fosse; ma rimase oltremodo stupito quando si rese conto che nessuno la conosceva.

Pubblicato nel marzo del 1678, La principessa di Clèves è ambientato più di un secolo prima, nell'autunno del 1558, alla corte del re Enrico II e della regina Caterina de' Medici. La sedicenne madamigella di Chartres, pallida e bionda come le fanciulle sognate dai poeti stilnovisti, è un modello di virtù grazie all'educazione ricevuta da sua madre la duchessa di Chartres, che, con grande intelligenza strategica, non le ha mai nascosto le lusinghe che derivano dall'essere amate e ammirate da qualcuno che non sia il proprio marito, ritenendo piuttosto che averne consapevolezza avrebbe reso la figlia pronta ad affrontarle e, se necessario, a respingerle. Non si tratta solo di un invito alla castità di stampo religioso, poiché la corte è un luogo dove una donna può scegliere di fare del proprio corpo una moneta di scambio utile a ottenere benefici concreti per sé e per la propria famiglia.
Il titolo del romanzo è chiaro: madamigella di Chartres, dopo alcuni intrighi di potere, sposa il principe di Clèves, mosso da un sentimento sincero e costante; i rapporti tra i due sono buoni, l'ormai principessa non avrebbe sposato più volentieri nessun altro e il principe suo marito continua ad amarla anche dopo le nozze perché, ci dice Madame de La Fayette, “oltre il possesso gli rimaneva da desiderare qualche altra cosa”.
Bella, ricca, amata dal consorte, ammirata da chiunque la incontri, ricercata come amica dalle dame più eleganti, la principessa è così priva di desideri che all'inizio del romanzo risulta... noiosa, amorfa nonostante tutti i suoi pregi, caratterizzata soprattutto da una mancanza di personalità — o forse è meglio dire: una mancanza di soggettività. Almeno finché non incontra il duca di Nemours.
Tornato di recente dall'estero, questo personaggio entra in scena con un dinamismo pressoché cinematografico durante un ballo al Louvre:
La principessa di Clèves terminò la danza e, mentre con gli occhi cercava il prossimo ballerino, il re le gridò di prendere la persona che stava entrando allora. Ella si volse e subito pensò che colui che stava scavalcando le sedie per giungere dove si ballava non poteva essere altri che il duca di Nemours. Questo principe era fatto in modo tale che era ben difficile non essere sorpresi quando lo si vedeva la prima volta; e specialmente quella sera in cui la cura presa nell'abbigliarsi aveva ancor più accresciuto l'aria ineffabile che spirava da tutta la sua persona. Ma era anche ben difficile vedere per la prima volta la principessa di Clèves senza provare un enorme stupore.
Si tratta di una situazione amorosa esaurita dal mito di Ares, Afrodite ed Efesto o perlomeno dalla storia di Tristano, Isotta e re Marco: una persona tenta (Nemours), una persona è tentata (la principessa), una persona non può far nulla (Clèves).
Ma, insomma, perché Nemours sì e Clèves no?
I quattro film tratti da La principessa di Clèves hanno cercato di dare qualche risposta: nell'omonimo adattamento (1961) di Jean Delannoy, l'unico in costume, Clèves è un bietolone di mezz'età che deve vedersela con un Nemours ventenne; Manoel de Oliveira, nel suo La lettre (1999), contrasta un Clèves trasformato in un medico con il musicista portoghese Pedro Abrunhosa che, al posto del duca, interpreta piuttosto una versione di se stesso; Andrzej Żuławski ambienta il suo La fidelité (2000) nel mondo dell'editoria, con un “Clève” timido editore quarantenne e un “Nemo” giovane fotoreporter d'assalto; La belle personne (2008) di Christophe Honoré, infine, trasporta la corte dei Valois in un liceo parigino, dove Nemours è il fascinoso professore d'italiano e Otto, l'equivalente di Clèves, uno studente un po' sfigato. In breve: Clèves simbolo di tedio e stabilità; Nemours inscritto nella cifra della diversità e della trasgressione.
L'approccio di Madame de La Fayette è meno banale. I personaggi de La principessa di Clèves si muovono tra parchi e palazzi, indossano ricche vesti o hanno acconciature curate, eppure il testo è parco di descrizioni, ciò che importa è il paesaggio interiore in primis della principessa, della quale non sapremo mai nemmeno il nome, poi di Clèves e di Nemours.
Il principe e il duca sono presentati all'inizio del romanzo: secondogenito del duca di Nevers, Clèves è “splendido, coraggioso e di una prudenza che non si accompagna mai alla giovinezza”; Nemours, oltre a essere bellissimo e valoroso, “possedeva una grazia che piaceva ugualmente a uomini e donne, una straordinaria abilità in ogni esercizio fisico, un modo di vestire che tutti cercavano di imitare senza potervi riuscire”.
Il duca è un “capolavoro della natura”, nondimeno l'inconsueta capacità di comprensione che dimostra nei confronti dei sentimenti della principessa deriva più dall'abitudine che da un'empatia fuori dal comune:
Per quanto stesse attenta ad evitare i suoi sguardi e gli rivolgesse raramente la parola, ella usciva in moti improvvisi che persuadevano il duca di non esserle indifferente. Un uomo meno sensibile di lui molto probabilmente non se ne sarebbe accorto, ma egli era già stato amato troppe volte per non capire quando suscitava amore.
Allo stesso tempo, il principe è ben lontano dall'essere una figura patetica: Clèves sa fin dall'inizio che sua moglie non lo ama e reagisce con una magnanimità quasi commovente alla confessione della principessa riguardo i propri sentimenti per Nemours, che lei ha represso e continuerà a reprimere per non offendere l'onore di un marito e l'amore di un uomo che stima pur non essendo in grado di corrispondergli come lui vorrebbe. La resa finale di Clèves alla gelosia assume una dimensione ancora più umana, consapevoli come siamo dell'innata generosità del suo spirito.
Sebbene non abbandoni mai la prospettiva privilegiata attraverso cui ci racconta i mutamenti nell'animo dei tre personaggi principali, Madame de La Fayette si serve di quattro digressioni situate a intervalli regolari per narrare vicende di infedeltà, femminile (la storia di Diane de Poitiers, amante del re, e l'inganno di Madame de Tournon) o maschile (i travagli del visdomino di Chartres, zio della protagonista, e l'amara sorte di Anna Bolena). Dunque se la principessa si abbandonasse alla passione che prova per Nemours trasgredirebbe più la regola del suo cuore che la norma della corte, labirinto di dissimulazioni galanti.
Già all'epoca della prima pubblicazione la scena del romanzo in cui la protagonista confessa al marito i suoi sentimenti per un altro uomo, a sua volta ignaro, creò un tale sconcerto che nell'aprile 1678, appena un mese dopo l'uscita del romanzo, il Mercure Galant lanciò addirittura un sondaggio per conoscere l'opinione del pubblico su questo evento fittizio: il pubblico dei contemporanei rispose che la scelta della principessa era borghese (!) e portatrice di inutili sofferenze. Chi scrive questa newsletter ritiene invece che la principessa non avrebbe potuto comportarsi altrimenti, se teniamo a mente la costruzione del personaggio e il procedere della trama.
Lo stile sobrio di Madame de La Fayette si fonda su una semplicità che non deriva da sciatteria espressiva o da scarse capacità di analisi, bensì dalla capacità di selezionare ciò che è necessario dire e ciò che è sufficiente lasciar intuire. "Invece di esagerare, attenua", afferma il critico Hippolyte Taine, quanto non serve viene asportato come si taglia via l'eccesso da un blocco di marmo per ricavarne una statua: se in Malvina di Maria Wirtemberska spiccava un discreto paternalismo nei confronti della servitù, la completa elisione della sua esistenza da parte di Madame de La Fayette potrebbe far credere che tutti questi aristocratici sopravvivano grazie alle mani disincarnate del castello in cui si ritrova il protagonista della fiaba La gatta bianca di Madame d'Aulnoy.
Sotterranea e tenace, l'influenza del testo resiste ai secoli che passano, come riporta Bernard Pingaud in Madame de La Fayette par elle-même: Jean-Jacques Rousseau avvicina il suo Giulia o la nuova Eloisa a La principessa di Clèves; per Stendhal l'opera della scrittrice è "il primo romanzo per data e quasi il primo per merito"; la critica rintraccia l'origine di Blanche de Mortsauf, eroina de Il giglio nella valle di Honoré de Balzac, nella purezza cristallina della principessa; si arriva fino al Novecento con Il ballo del conte d'Orgel di Raymond Radiguet.
Aggiungo io: l'episodio della caduta da cavallo di Nemours, che rivela a un attento osservatore i sentimenti della principessa, sembra riecheggiare in un momento analogo di Anna Karenina, romanzo sull'adulterio scritto da un autore ossessionato dall'infedeltà muliebre; l'essenzialità dello stile e l'attenzione tagliente rivolta a un milieu agiato ritornano in Françoise Sagan.
Di Madame de La Fayette si sa poco: nata nel 1634, morta nel 1693, matrimonio di convenienza ma armonioso, amica di Madame di Sévigné e di La Rochefoucauld, astuta donna d'affari, di sua mano ha lasciato poche lettere, qualche novella e questo romanzo. Nessuna grande passione. Spesso si citano le parole che lei stessa a diciannove anni scriveva all'amico ed ex precettore Gilles Ménage: "sono così convinta che l'amore sia una cosa inopportuna da rallegrarmi che i miei amici e io ne siamo esenti".
*
Se desideri sostenere L'altra biblioteca,
puoi fare una donazione sulla sua pagina Ko-fi.
*
Panorami (ovvero: quali altre opere mi ha fatto venire in mente questo libro?)
In questo caso la domanda dovrebbe essere: leggendo quali altre opere ho ripensato a questo libro? Alcune appaiono poco sopra.
Poi c'è Il principe di Cleve, un bel racconto con cui Alessandro Spina ha omaggiato Madame de La Fayette (la primissima versione del romanzo si intitolava proprio Il principe di Clèves). Consultando il Diario di lavoro di Spina, tra l'altro, ho trovato il saggio di Pingaud.
Infine, Marie Grubbe di Jens Peter Jacobsen: avrebbe dovuto essere incluso in una delle forme precedenti dell'uscita di oggi, che aveva come titolo provvisorio "E se tradissi mio marito?".
Altro?
Per prepararmi ho letto: La civiltà della conversazione di Benedetta Craveri, edito Adelphi; la nota di Gesualdo Bufalino a L'amor geloso (Sellerio, traduzione di Paola Masino), che raccoglie due racconti di Madame de La Fayette più una lunga digressione che si trova in Zaïde, opera redatta in collaborazione con La Rochefoucauld; un essai di Hippolyte Taine che puoi leggere su Open Library. Purtroppo non sono riuscita a procurarmi il celebre scritto di Michel Butor.
Martina Stemberger ha scritto un pezzo pieno di spunti sugli adattamenti cinematografici del romanzo.
Andrea F. mi ha dato l'idea di scrivere della Principessa, l'estate scorsa, anche se poi la struttura del tutto si è evoluta in un altro modo.
Ringrazio Andrea D. per la revisione del testo.
§§§

Fede Galizia
§§§
Puoi trovarmi su Twitter.
Ci risentiamo il 2 marzo, se ti andrà.
—