LAB 37: Credere allo spirito selvaggio di Nastassja Martin

Credere allo spirito selvaggio — Nastassja Martin
Bompiani; traduzione di Marina Karam.
Se penso ai luoghi che vorrei visitare, ci sono le città, certo — musei, architettura, parchi, vie e piazze — ma la mia curiosità si orienta anche verso località meno turistiche, per esempio l'isola dell'Hokkaido in Giappone oppure la penisola russa della Kamčatka. Entrambe queste zone sono luoghi poco ospitali dal punto di vista climatico e abitati da popolazioni indigene spesso neglette, se non proprio perseguitate, dai rispettivi governi centrali, luoghi marginali che sono stati giudicati selvatici e primitivi.
L'antropologa Nastassja Martin si trovava proprio nella penisola della Kamčatka, nell'estremo Nord Est russo, quando, il 25 agosto del 2015, è stata attaccata da un orso. L'animale le ha morso il viso, causandole gravi danni allo zigomo destro e alla mascella. Eppure pochi giorni dopo, mentre recupera le forze in ospedale, all'evento assegnerà già un nome diverso: è stato un bacio.
Penso alla mia storia. [...] Al bacio dell'orso sul mio viso, ai suoi denti che si chiudono sulla mia faccia, alla mia mascella che scricchiola, al mio cranio che scricchiola, al buio che c'è dentro la sua bocca, al calore umido e al suo alito pesante, alla presa dei suoi denti che si allentano, al mio orso che bruscamente inspiegabilmente cambia idea, i suoi denti non saranno gli strumenti della mia morte, lui non mi divorerà.
Martin ferisce l'orso a un fianco con una piccozza, riuscendo a farlo fuggire e a salvarsi. Nel 2019 trarrà da questa esperienza Croire aux fauves, che l'estate scorsa è arrivato in Italia con il titolo Credere allo spirito selvaggio.

Iniziamo dal principio: perché un'antropologa francese si trovava in una remota regione russa?
Dopo aver trascorso anni in Alaska a studiare il popolo Gwich'in e il loro stile di vita, distorto da secoli di colonialismo occidentale, Nastassja Martin si era spostata in Kamčatka per svolgere ricerche su un'altra popolazione indigena, gli Eveni. Oltre che sui punti in comune tra Gwich'in ed Eveni (teniamo presente che gli esseri umani si sono stanziati nel continente americano attraversando lo Stretto di Bering), l'interesse di Martin si concentra sulle loro differenti circostanze nei confronti della società dominante: nel caso dei Gwich'in, la repubblica statunitense è stabile e le sue politiche rimangono in continuità con il passato; gli Eveni, al contrario, hanno assistito al crollo dell'Unione Sovietica, entità statale che aveva cercato di schiacciarne cultura e tradizioni in nome di una malintesa ideologia.
L'incontro-scontro con l'orso avviene durante un'escursione in montagna e prelude a lunghi mesi di trattamenti medici e procedure chirurgiche tra Russia e Francia. In Russia, Nastassja Martin è ricoverata in un ospedale provinciale male attrezzato, sola, privata di accesso al proprio telefono, e alla mercé di un'infermiera che la maltratta. Le cure sembrano più a misura di persona una volta che la paziente viene trasferita in Francia presso la celebre Pitié-Salpêtrière, tuttavia Martin non nasconde il senso di alienazione che prova nell'essere diventata un inconsueto caso clinico. Oltre al dolore fisico che la accompagna in ogni istante e al timore di rimanere sfigurata, ci sono i sogni, e nei sogni torna sempre l'orso.
Credere allo spirito selvaggio non è un memoir confortante in cui qualcuno supera un'avversità e ci parla delle splendide lezioni imparate. Esito addirittura a definirlo memoir perché, sebbene il testo riporti eventi realmente accaduti e sia ancorato in una prima persona singolare, in realtà Martin è molto attenta riguardo ciò che ha deciso di svelare a chi legge (talvolta, bisogna dirlo, a prezzo della chiarezza) per concentrarsi invece sull'avvenimento fulcro di tutto: il bacio dell'orso.
[L]a notizia non è: un orso attacca un'antropologa francese da qualche parte nelle montagne della Kamčatka. La notizia è: un orso e una donna si incontrano e le frontiere tra i mondi implodono. Non soltanto i limiti fisici tra un umano e un animale, che confrontandosi aprono delle crepe sui loro corpi e nella loro testa. È anche il tempo del mito che si fonde con la realtà; il tempo passato che si fonde con l'oggi; il sogno che si fonde con la personificazione. La scena si svolge ai giorni nostri ma potrebbe benissimo essere accaduta mille anni fa. Ci siamo soltanto io e quest’orso nel mondo attuale indifferente alle nostre infime traiettorie personali; ma è anche il faccia a faccia dell'archetipo, è l'uomo barcollante col sesso eretto di fronte al bisonte ferito nel pozzo di Lascaux. Come nella scena del pozzo, è l'incertezza di fronte all'esito del combattimento a regolare l'incredibile avvenimento che tuttavia ha luogo. Ma, contrariamente alla scena del pozzo, il seguito non è un mistero, perché nessuno di noi due muore, perché ritorniamo dall'impossibile che si è avverato.
Credere allo spirito selvaggio è una storia di alterità, di doppi e di frontiere.
Nastassja Martin ha due famiglie, una francese biologica e una evena d'elezione, e aggiorna due taccuini, quello diurno dedicato a registrare "dati minuziosi" come controparte del notturno "quaderno nero", dal contenuto "frammentario, parziale, instabile". Ulteriori coppie di contrasti: lo stato russo, con le sue pratiche di spoliazione del territorio, e la cultura indigena; la Russia e la Francia; il prima e il dopo; il corpo e lo spirito; la salute e la malattia.
Soprannominata dagli Eveni matucha, cioè orsa, fin dall'inizio, dopo il bacio Nastassja Martin è diventata una medka, una creatura marchiata dall'orso e che quindi siede sul confine tra i mondi, potenziale portatrice di sventura. Lei stessa incarna una frontiera difficile da comprendere e da accettare.
Credere allo spirito selvaggio è il frutto prezioso di una riflessione che non cede mai a comodi dualismi, nel corso della quale Martin continua a scavare nella sua esperienza con l'orso, nelle reazioni delle sue famiglie e nella sua formazione da antropologa per porre domande, più che offrire risposte.
La nostra specie si è sempre chiesta se la separazione tra umano e animale possa essere così labile da essere inesistente.
Nella camera di Nastassja Martin, nell'ospedale della Kamčatka, venne portata una televisione per distrarre la paziente: sullo schermo, c'era un adattamento russo de La bella e la bestia, dove il ragazzo maledetto da una fata ha le sembianze di un orso.
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Panorami (ovvero: quali altre opere mi ha fatto venire in mente questo libro?)
Orso di Marian Engel (La Nuova Frontiera, traduzione di Veronica Raimo), un romanzo che racconta una storia d'amore tra una donna e un orso, che non ho ancora letto.
Io e Mabel di Helen Macdonald (Einaudi, traduzione di Anna Rusconi), un memoir sull'esperienza dell'autrice nell'addestrare un astore, che invece ho letto con grande soddisfazione.
Inoltre, mi sentirei di argomentare, anche la Trilogia dell'Area X di Jeff Vandermeer, (Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella).
Altro?
Per preparare questa uscita ho letto L'orso. Storia di un re decaduto di Michel Pastoureau (Einaudi, traduzione di Chiara Bongiovanni Bertini), un libro ricco di informazioni sulla storia simbolica dell'orso e su come in Europa sia stato simbolicamente soppiantato da un animale alloctono come il leone. Pastoureau menziona un bel racconto di Prosper Mérimée intitolato Lokis che, senza essere granché originale, potrebbe essere interessante per chi apprezza un certo tipo di narrazioni gotiche: e se una neosposa rapita da un orso desse alla luce, nove mesi dopo, un bambino?
Ti segnalo anche questa approfondita recensione di Nathan Goldman su The Baffler, l'unica a non avermi indispettito.
Si trovano molte interviste e presentazioni con Nastassja Martin; io ho apprezzato soprattutto questo colloquio (disponibile sia in francese, sia con traduzione simultanea in inglese) dove Martin parla a lungo della sua formazione, del suo lavoro di antropologa e della nascita di Credere allo spirito selvaggio.
Grazie ad Andrea per la revisione del testo.
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Dorothea Tanning
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Ci risentiamo il 2 febbraio, se ti andrà.
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