Laboratorio VI
Tristezze italiane, il premio Nobel ad Han Kang, liste di liste di liste, e abiti sportivi letterari.
Laboratorio esce il terzo mercoledì del mese ed è un contenitore che riunisce link a testi, podcast e/o materiale video che hanno colpito la mia attenzione nel mese precedente (più o meno). A volte i contenuti sono legati alla precedente lettera di LAB, anche se non abbastanza legati da essere inclusi nelle sezioni finali.
Oggi c’è solo una sezione: Leggere. Gli articoli disponibili solo dietro paywall sono segnalati da una [P].
Alla fine si parla un po’ della prossima uscita della newsletter, che arriverà il 6 novembre.
Consueto avvertimento: non sono un’insider, soltanto una lettrice curiosa.
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⚡️ LEGGERE
(Good) Brand: Literary Sport || Jake Bell || Who Do You Know?
L’estetizzazione della lettura prosegue spedita da anni, se non decenni, così questa nuova marca di vestiario sportivo, chiamata Literary Sport, osa chiedersi, nelle parole della fondatrice: “perché cambiare la mia personalità quando corro?” — confesso che il mio primo pensiero è stata l’immagine incongrua di una persona che legge mentre corre, non proprio una mossa consigliabile.
Il dettaglio affascinante è l’uso dell’aggettivo literary per segnalare al pubblico caratteristiche come l’elevata qualità dei materiali e la raffinatezza del design, senza poi spingere granché sul significato letterale del termine. Come dice Bell: Fitness but make it… cerebral. Per il momento il loro account Instagram non è molto seguito, però magari si trasformerà in una storia di successo come Sporty & Rich1.
L’eredità del berlusconismo in un nuovo progetto editoriale || Raffaele Alberto Ventura || Domani [P]
Tempo fa mi sono imbattuta nell’autobiografia di Tony Blair, notandone la casa editrice e il logo da generatore automatico gratuito. In che senso “Silvio Berlusconi Editore”, prego, non bastava Mondadori o una delle sue sottoposte? Come spiega Ventura, è il ritorno di un imprint degli anni Novanta2, che all’epoca pubblicava classici con prefazioni del fondatore3, e anche gli altri due titoli — le Lettere inglesi di Voltaire e Il passato di un’illusione di François Furet — dicono molto del tipo di ideologia che si tenta di avallare.
Giuli, quella del ministro della Cultura non è una “supercazzola” || Paolo Mossetti || Wired
Quando ho sentito qualche brano del discorso del nuovo ministro della Cultura, mi ha colpito l’accenno alla quarta rivoluzione; ero interessata a capire se intendesse la quarta rivoluzione industriale oppure se fosse un riferimento al fourth turning teorizzato da Neil Howe e William Strauss quasi trent’anni fa. In questo articolo il mio dubbio non trova chiarimenti, tuttavia ho apprezzato che Mossetti abbia interpellato due filosofi per andare oltre lo sberleffo automatico. Know your enemy.
How Historical Fiction Redefined the Literary Canon || Alexander Manshel || The Nation
Trovo sempre sorprendente quanto la maggioranza dei registi italiani giunti a un certo grado di affermazione dimostri una costante preferenza verso vicende del passato piuttosto che cercare di confrontarsi con il presente4. Questo pezzo si concentra su qualcosa di analogo: proliferazione e successo del romanzo storico nel canone letterario statunitense.
List culture || Kyle Chayka & Nate Gallant || One Thing
Dal catalogo delle navi nell’Iliade alle osservazioni di Sei Shōnagon nelle Note del guanciale, dagli elenchi dicembrini dei migliori libri/film usciti nell’anno in corso5 all’imperdibile rubrica Laboratorio, le liste sono uno dei passatempi preferiti degli esseri umani. Con l’offerta odierna dei siti di streaming, non noti per la facilità di navigazione, diventano anche necessarie, come scrive Chayka: theoretically, the list of things you could watch on Netflix is infinite, but in practice, the available lists narrow the collection down into comprehensibility. E se tutto stesse diventando liste che riuniscono liste che riuniscono liste?6
La carne e il sangue || Players
Non mi sottraggo alla sponsorizzazione di qualcosa che ho scritto7 nel 2016 riguardo La vegetariana e Atti umani di Han Kang, il secondo dei quali all’epoca non era ancora uscito in italiano. Anche se apprezzo i suoi libri, non sono granché a favore della china presa dal comitato del Nobel negli ultimi anni. A mio modo di vedere, il premio dovrebbe andare a una persona alla fine della carriera (come accaduto nel caso di Annie Ernaux, che è nata nel 1940) oppure a qualcuno che potrebbe ottenere un reale beneficio dalla vittoria, in termini di fama (Abdulrazak Gurnah, poco noto al grande pubblico). Vorrei scelte più elettrizzanti, magari di nuovo nomi mai sentiti prima, però mi rendo conto che forse non sono aspettative da riporre in un gruppo di letterati scandinavi dall’aria piuttosto compiaciuta. Mi auguro, comunque, che la vittoria di Bob Dylan non abbia mai concorrenti in fatto di risibilità.
🔥 E LAB 55?
Chi segue la newsletter da più tempo sarà forse felice di sapere che ci sarà un grande ritorno alla tradizione, perché tratterò di una scrittrice e poi mi lamenterò del fatto che i suoi libri non sono in catalogo.
Da adolescente ascoltavo sempre la versione live di una canzone che il cantante introduce dicendo: je crois qu’on va parler un peu de sexe. Quindi: credo che si parlerà un po’ di sesso.
Un brand notoriamente nato da un account Instagram, il cui nome suggerisce tutto un altro immaginario.
Il cui logo era praticamente quello di Canale 5, ergo comunque meglio dell’attuale.
Immagino scritte in realtà dal bibliofilo Marcello Dell’Utri.
Tutti i film di Alice Rohrwacher dopo il suo esordio con il promettente Corpo celeste, tutti i film di Susanna Nicchiarelli a parte La scoperta dell’alba, tutti i lungometraggi narrativi di Pietro Marcello, il bel Vermiglio di Maura Del Pero, potenzialmente anche il prossimo Guadagnino se adatterà davvero Camere separate… la generazione nata negli ’70-’80, insomma.
Senza dimenticare la discussa lista dei migliori libri del XX secolo secondo il New York Times, animatrice dei lassi pomeriggi di luglio.
Ogni tanto penso a questa lista di liste su Wikipedia.
Il link è alla fine per contenere l’imbarazzo provocato dall’autopromozione e dal fatto che il testo risale a più di otto anni fa.