LAB 54: La signora dell’auto con gli occhiali e un fucile di Sébastien Japrisot
Portami al mare, fammi sognare e dimmi che non vuoi morire.
L’altra biblioteca è sempre così seriosa, no? Stavolta allora cominciamo con l’entusiasmo dello scrittore francese vivente più famoso al di qua delle Alpi, Emmanuel Carrère.
Da Propizio è avere ove recarsi (Adelphi, traduzione di Francesco Bergamasco):
La signora dell’auto con gli occhiali e un fucile narra la storia di una segretaria che a un tratto prende in prestito l’auto del suo principale – una Thunderbird – e parte all’avventura sull’autostrada Parigi-Marsiglia. […]
C’è la suspense classica: ci si chiede come farà la ragazza a cavarsela, soprattutto perché la ragazza è molto sexy e attraente – in generale Japrisot disegnava molto bene i suoi personaggi femminili. Ma c’è anche una suspense strutturale: ci si chiede con quasi altrettanta ansia come farà l’autore, dopo aver dispiegato quella girandola di trovate, a venirne fuori senza ricorrere a disonorevoli espedienti narrativi. Ora, il bello del libro è che la spiegazione non soltanto è perfettamente logica, ma ancora più sorprendente, elegante e poetica di tutto quanto l’ha preceduta.
Potrei chiudere qui — o ricopiare per intero Addio, amico mio, il testo che Carrère dedica a Japrisot — tuttavia ho qualcosa da aggiungere sia su La signora dell’auto con gli occhiali e un fucile (Garzanti, traduzione di Francesco Verdeborghese), sia sul suo autore.
La signora alla guida della Thunderbird è una ragazza di ventisei anni che si chiama Dany Longo; Dany se l’è inventato lei, magari per sentirsi simile in qualcosa a certe attrici degli anni cinquanta (Dany Carrel, Dany Robin), perché non le piaceva Marie Virginie e non sapeva ancora che certi nomi antiquati da cimitero di campagna possono segnalare una classe sociale più elevata rispetto a quella da cui proviene. È nata nelle Fiandre da due immigrati italiani originari di Sant’Apollinare, oggi nella provincia di Frosinone; il padre, la cui unica eredità è una forte miopia, muore in un incidente sul lavoro; la madre si suicida dopo che le hanno rapato la testa, la punizione di tutte le donne considerate troppo vicine all’occupante nazista. La bambina viene raccolta da un orfanotrofio gestito dalle suore. Ma tutto questo è molto lontano, ormai, siamo nel pieno dei prosperi anni sessanta: ora Dany Longo vive a Parigi, dove lavora in un’agenzia pubblicitaria.
Venerdì 10 luglio 1964, manca poco al finesettimana lungo della festa nazionale che commemora la presa della Bastiglia. In ufficio tutti sanno dove e con chi andranno in vacanza, eccetto Dany. Il fondatore dell’agenzia, Michel Caravaille, all’ultimo momento le chiede di battere a macchina una presentazione per dei clienti che incontrerà l’indomani a Ginevra, ci vorrà tutta la notte. La richiesta tradisce l’arroganza del patron, ma non nasconde fini sordidi: c’è una macchina da scrivere a casa Caravaille, dove, oltre a lavorare fino a tardi senza essere disturbata, Dany potrà rivedere Anita, un’amica ed ex collega che ha sposato il capo. Gli straordinari andranno a supplementare la quattordicesima. Il giorno dopo, i Caravaille le chiedono la cortesia di accompagnarli in aeroporto e di riportare a casa la Thunderbird. Davanti a Dany sembra allungarsi una sterile distesa di giorni vuoti, da trascorrere sola con se stessa.
Ho bevuto un Dubonnet con la vodka, ho fumato una sigaretta. Ho visto delle persone alzarsi, raccogliere dal tavolino il loro denaro e partire per l’altro capo del mondo. Stavo bene, stavo male, non ricordo. Ho bevuto un secondo bicchiere, poi un terzo, dicendomi: “Povera ragazza, sarai ben conciata per il tuo macchinone, poi, ma si può sapere cosa vuoi?” Ma credo che lo sapessi già, quel che volevo.
Non era ancora ben chiaro, era solo come una specie di prurito dell’animo, un vago turbamento che somigliava all’angoscia. Ascoltavo una voce di donna, dal timbro dolce, quasi confidenziale, che ripeteva senza tregua negli altoparlanti a che porta bisogna andare per ritrovarsi in Portogallo o in Argentina. Mi promettevo che un giorno sarei andata lì, a quello stesso tavolo e poi non so, non so. Ho pagato. […] Mi sono alzata, ho raccolto il denaro dal tavolino e sono partita per il mare.
Non si tratta di una destinazione scelta a caso: Dany Longo, orfana di umili immigrati, non ha mai visto il mare.
La Provenza e il Sud tornano in tutti i romanzi di Sebastien Japrisot, nato a Marsiglia il 4 luglio del 1931 con il nome di Jean-Baptiste Rossi. Alla sua protagonista, Japrisot presta le proprie origini frusinati, il lavoro in un’agenzia pubblicitaria parigina1 e il compleanno: anche quello di Dany cade il 4 luglio, lo stesso giorno della gita in cui Lewis Carroll concepì Alice nel Paese delle Meraviglie, tra i romanzi che più hanno influenzato lo scrittore marsigliese2.
Torniamo a Carrère, nel pezzo dedicato a Il cavaliere svedese di Leo Perutz che precede Addio, amico mio:
Alla banale domanda: che cosa succederà al protagonista? come se la caverà?, se ne aggiunge un’altra: come se la caverà l’autore? come farà a cadere in piedi? Non soltanto a darmi scacco matto, ma a farlo lasciandomi di stucco, stupendomi, sbalordendomi, prendendomi alla sprovvista. È un’arte, questa, che ha i suoi maestri. [...]
Japrisot nella maggior parte dei suoi romanzi, dove ci preoccupiamo per lui perché pensiamo che dopo aver iniziato a quel modo l’unica via d’uscita che gli resta è la penosa trovata della sveglia che suona e del protagonista che sospira: «Grazie a Dio, era soltanto un incubo» – be’, Japrisot non soltanto riesce a spiegare razionalmente i prodigi che ha mostrato, ma la sua spiegazione è ancora più prodigiosa di ciò che spiega.
Japrisot, un méridional che ha studiato dai Gesuiti, conosce questa nobile arte bene quanto il gioco dell’affabulazione.
È proprio in pieno incubo che incontriamo Dany Longo all’inizio del romanzo, accasciata nei bagni di una stazione di servizio dove ha appena subito un pestaggio abbastanza violento da farle perdere conoscenza e da lasciarla con la sua mano dominante, la sinistra, ferita. Confusione e paura aumentano quando il gestore e alcuni avventori le parlano come se l’avessero già vista quella stessa mattina. Dicono che le luci della Thunderbird dovevano essere aggiustate, e che ha dimenticato il soprabito bianco; lei non ne conserva alcun ricordo. La realtà, che finora Dany non aveva mai messo in dubbio, inizia a incrinarsi.
I primi due romanzi di Sébastien Japrisot — La cattiva strada (Adelphi, traduzione di Simona Mambrini), uscito nel 1950, e Scompartimento omicidi (Mondadori, traduzione di Sandro Bajini), del 1962 — utilizzano una terza persona singolare molto vicina ai pensieri dei personaggi. Da Trappola per Cenerentola (Feltrinelli, traduzione di Francesco Verdeborghese) in avanti, Japrisot accetta la lezione del noir statunitense e sfrutta tutto lo spettro dell’inaffidabilità di un personaggio che parla direttamente a chi legge. Due delle quattro sezioni in cui è diviso La signora dell’auto con gli occhiali e un fucile sono narrate da Dany Longo: puoi anche avere la certezza di non essere matta, ma cosa succede se ciò che scopri via via sembra mettere in discussione i contorni della tua memoria a un punto tale che quella certezza si trasforma davanti ai tuoi occhi in un tentativo impossibile di autoconvinzione? In Trappola per Cenerentola Japrisot fa dire alla protagonista: “ero l’investigatore, il testimone, l’assassino, e la vittima, tutto insieme”. Come far coesistere tutti questi ruoli? La celebre frase di Fitzgerald, “il banco di prova di un’intelligenza superiore è la capacità di sostenere simultaneamente due idee contrapposte senza perder la capacità di funzionare”3, diventa meno facile da sposare quando le idee contrapposte sono addirittura quattro e ciascuna mina l’immagine che hai di te.
Mi ripeto soltanto questa canzoncina di quando ero piccola: chiari i miei capelli, scuri i miei occhi, nera la mia anima, fredda la canna del mio fucile, ancora e ancora.
Se qualcuno mi viene a prendere, mirerò con calma nella semioscurità, colpirò alla testa, poco importa il resto. Solo una fiammata, un lampo.
Cercherò di uccidere al primo colpo, per economizzare le munizioni. L’ultima sarà per me. Mi troveranno libera, gli occhi nudi, aperti sulla mia vera vita, nel mio tailleur bianco macchiato di rosso, dolce, pulita, e bella come ho sempre voluto essere. Mi sarò concessa solo un week-end di proroga per essere qualcun’altra e poi basta, non ci sarò riuscita, perché non ci si riesce mai. Non ci si riesce mai.
Non che La signora dell’auto con gli occhiali e un fucile sia un romanzo esclusivamente giocato sull’interiorità della protagonista. Dany viaggia, entra in contatto con persone diverse, si muove in una Francia provinciale che non appare poi molto diversa dall’Italia di Al mare con la ragazza di Giorgio Scerbanenco. Incontra soprattutto uomini, che Japrisot ritrae con ombreggiature incisive: il gestore della stazione di servizio non vuole alcun male a Dany, eppure sotto le sue arie di gran conquistatore si nasconde ben altro; Philippe Filanteris sa usare il suo fascino da mascalzone per manipolare le donne senza farsi alcuno scrupolo, però di fronte a un cadavere viene fuori la sua normalità di piccola canaglia qualunque. “Non ti perdi d’animo, tu” dice quest’ultimo quando Dany lo ritrova, riassumendo in una frase l’intraprendenza disperata di una persona arrivata al limite.
A differenza di Alice nel Paese delle Meraviglie, la soluzione del mistero non si riduce al risveglio da un brutto sogno: al centro del labirinto costruito da Sébastien Japrisot c’è davvero il Minotauro.
E, nonostante tutto, Dany riesce a vedere il mare.
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Panorami (ovvero: quali altre opere mi ha fatto venire in mente questo libro?)
In origine volevo scrivere di Trappola per Cenerentola4, ma ho pensato che ci fosse un bel legame con Due donne, grassa e magra di Mary Gaitskill — le vite segrete delle segretarie.
Altro?
Le fonti: questa puntata del Mardi des auteurs, dedicata a Japrisot; un’intervista archiviata qui; l’intervista accordata dall’autore a Christine Bénévent che si trova nell’edizione Gallimard del 1999 di Piège pour Cendrillon.
A parte La cattiva strada, che non è un noir5, attualmente nessun libro di Japrisot si trova in catalogo. Magari proprio Adelphi, o chiunque si occupi della collana Nero Rizzoli6, potrebbe porre rimedio — di certo raggiungerebbero pubblici piuttosto diversi.
Come a volte mi accade, non sono riuscita a inserire tutto quello che vorrei, per esempio un blurb tratto da una recensione del 1963, spesso ripresa, secondo il quale Japrisot sarebbe “Simenon corretto da Robbe-Grillet” (Simenon non ha bisogno di spiegazione; Robbe-Grillet, teorico del Nouveau Roman, ha spesso ripreso nei suoi libri e nei suoi film gli stilemi del noir). O il fatto che, malgrado una scarsa conoscenza dell’inglese, Jean-Baptiste Rossi sia stato il primo ad aver tradotto in francese Il giovane Holden — ho perfino cercato di capire, senza risultati, se abbia scelto lui il titolo L’attrape-coeurs, l’acchiappacuori. Oppure dove si posiziona politicamente rispetto a Jean-Patrick Manchette. O ancora la sua carriera cinematografica: sceneggiatore impareggiabile di materiale originale per René Clément e Jean Becker, adatta per Just Jaeckin la Storia di O. di Pauline Réage, e dirige lui stesso due film tratti dai suoi romanzi. Oppure che Simone de Beauvoir, in A conti fatti (Einaudi, traduzione di Bruno Fonzi), dice che La signora dell’auto con gli occhiali e un fucile è un libro affascinante, complimento che nel contesto appare piuttosto dubbio ma di cui Japrisot si rallegrava.
Nell’illustrazione c’è una pistola al posto di un fucile perché è stato un gran casino trovare un’immagine rappresentativa per questa lettera e io a un certo punto mi sono stufata di vedere fotografie di statunitensi che imbracciano armi d’assalto con sorrisi stolidi. Mentre mi piace molto l’espressione corrucciata del soggetto di McGinnis.
Grazie a Tommaso per avermi segnalato Carrère su Japrisot.
Grazie ad Andrea per la revisione del testo.
Laboratorio arriverà mercoledì 17 luglio, dopodiché anche io andrò a vedere il mare.
Robert McGinnis
Prima come concepteur-redacteur (copywriter), poi promosso a chef de publicité, con clienti del calibro di Air France e Max Factor.
Da Alice nel Paese delle Meraviglie e da Attraverso lo specchio Japrisot ha ricavato le epigrafi de L’été meutrier (da quanto sono riuscita ad appurare, mai tradotto in italiano) e di Una lunga domenica di passioni (Rizzoli, traduzione di Simona Martini Vigezzi). Piuttosto carrolliano anche il fatto che Sébastien Japrisot sia l’anagramma perfetto di Jean-Baptiste Rossi.
Da Il crollo, a cura di Ottavio Fatica, Adelphi.
Carrère dixit: “una fiaba dolce e crudele che per quanto mi riguarda rileggo ogni quattro o cinque anni con affascinato disagio”. Se devo essere perseguitata letterariamente dal secondo Manu più insopportabile dell’Esagono, tanto vale sfruttarlo per i miei obiettivi.
Anche se qualcosa della trama torna nella storia di Bambi e Daniel in Scompartimento omicidi. Del resto, Japrisot non considera un roman policier nemmeno La signora dell’auto con gli occhiali e un fucile. Ma questa è la mia newsletter e qui comando io.
Se non vuoi partire alla ricerca dei libri di Japrisot, Elena Cappellini ha tradotto per Rizzoli diversi romanzi di Frédéric Dard slegati dalla saga di San Antonio. Il mio preferito è I bastardi vanno all’inferno.